Ritorno al Mondo Nuovo

di Aldous Huxley

Capitolo V

 

LA PROPAGANDA SOTTO LA DITTATURA.
Processato dopo la fine della seconda guerra mondiale, Albert Speer,
ministro hitleriano degli armamenti, fece un discorso in cui descriveva, con
notevole acutezza, la tirannia di Hitler, e ne analizzava i metodi.
La dittatura di Hitler disse differiva per un aspetto sostanziale da ogni altra
dittatura.
Fu la prima nel nostro periodo di moderna evoluzione tecnica, e quindi si
servì di tutti i mezzi tecnici disponibili, per la dominazione del paese.
Strumenti tecnici quali la radio e l’altoparlante, servirono a togliere il pensiero
indipendente a ottanta milioni di individui.
Fu così possibile assoggettarli alla volontà di un uomo solo…
I dittatori del passato avevano bisogno di collaboratori qualificatissimi anche
a livello minimo: uomini capaci di pensare e di agire in modo indipendente.
Ma nel nostro periodo di evoluzione tecnica moderna si può anche fare a
meno di questi uomini; grazie ai metodi di comunicazione moderni, è
possibile meccanizzare la direzione a basso livello.
In questo modo si è potuto formare un dirigente di tipo nuovo; quello che
riceve acriticamente gli ordini.
Nel mondo nuovo della mia favola la tecnologia era andata ben oltre il livello
raggiunto sotto Hitler; di conseguenza i ricevitori di ordini erano assai più
acritici dei loro colleghi nazisti, assai più obbedienti alla élite che impartiva gli
ordini.
Non solo: mediante la standardizzazione genetica e il condizionamento
postnatale, essi adempivano alle loro funzioni e si comportavano con la
prevedibilità delle macchine.
Come vedremo in un capitolo successivo, questo condizionamento della
‘direzione a basso livello’ già avviene nelle dittature comuniste.
Cinesi e russi non si avvalgono solamente dei vantaggi indiretti del progresso
tecnologico; essi operano direttamente sugli organismi psicofisici dei loro
dirigenti minori, sottoponendo cervelli e corpi a un sistema di
condizionamento spietato e, a quanto ci risulta, efficientissimo.
Dice Speer: Molti hanno avuto l’incubo che un giorno le nazioni possono
essere dominate con mezzi meccanici.
Un incubo quasi realizzato sotto il sistema totalitario di Hitler.
Quasi, ma non del tutto.
I nazisti non ebbero il tempo, e forse nemmeno l’intelligenza e le nozioni
necessarie, per realizzare il lavaggio dei cervelli e il condizionamento dei loro
dirigenti inferiori.
Forse è questo uno dei motivi per cui andarono a finir male.
Dai tempi di Hitler l’arsenale degli strumenti tecnici a disposizione di un
ipotetico dittatore si è notevolmente ampliato.
Oltre che la radio, l’altoparlante, la cinepresa e la rotativa, i propagandisti
d’oggi possono usare la televisione per trasmettere immagini e voce del loro
cliente, registrare immagine e voce su rocchetti di nastro magnetico.
Grazie al progresso tecnologico, il Grande Fratello, oggi, può diventare
pressoché onnipresente, come Dio.
E il pugno d’un ipotetico dittatore si è rafforzato non soltanto sul fronte
tecnico.
Dai tempi di Hitler gran mole di lavoro si è svolto in quei campi della
psicologia e della neurologia applicata, che sono settore specifico del
propagandista.
In passato gli specialisti nell’arte di cambiare il cervello del prossimo erano
degli empirici.
Provando e riprovando essi elaborarono una serie di nuove tecniche, di
nuove procedure, e le impiegarono, con ottimi risultati, senza peraltro sapere
il perché della loro efficacia.
Oggi l’arte del controllo dei cervelli sta diventando una scienza.
E chi pratica tale scienza sa quel che sta facendo e perché; ha per guida
teorie e ipotesi ben fondate su massicce prove sperimentali.
Grazie alle nuove teorie e alle nuove tecniche che le teorie rendono possibili,
quell’incubo non realizzato sotto Hitler può diventare realizzabilissimo.
Ma prima di parlare di queste nuove teorie e tecniche, diamo un’occhiata
all’incubo che stava per avverarsi nella Germania nazista.
Che metodi usarono Hitler e Goebbels per togliere il pensiero indipendente a
ottanta milioni di individui e assoggettarli alla volontà di un uomo solo? E su
quale teoria della natura umana si basarono quei metodi paurosi ed
efficienti? A queste domande possiamo rispondere, in larga misura, con le
parole di Hitler medesimo.
E che astuzia, che chiarezza nelle sue parole! Quando Hitler scrive di
generiche astrattezze – Razza, Storia, Provvidenza – è veramente illeggibile.
Ma quando scrive delle masse tedesche e dei metodi che egli usò per
dominarle e dirigerle, lo stile muta.
All’assurdo subentra la logica, alla millanteria una lucidità cinica e dura.
Nelle sue elucubrazioni filosofiche Hitler fu un obnubilato sognatore, quando
non ripeté idee altrui maldigerite.
Ma quando parla di folla, di propaganda, allora racconta cose che gli eran
note di prima mano.
Come afferma Alan Bullock, il più abile dei suoi biografi, Hitler fu il più grande
demagogo di tutta la storia.
E chi aggiunge ‘un demagogo soltanto’ mostra di non intendere la natura del
potere politico in un’era di politica di massa.
Come dice Hitler medesimo essere un capo significa saper muovere le
masse.
Fine di Hitler era anzitutto muovere le masse e quindi, dopo aver tolto loro
ogni legame con l’etica tradizionale, imporre su di esse (con il consenso
ipnotizzato della maggioranza) un nuovo ordine autoritario di sua invenzione.
Hitler scriveva Herman Rauschning nel 1939 ha profondo rispetto per la
Chiesa cattolica e per l’ordine dei Gesuiti; non per la dottrina cattolica, ma
per l’apparato che essi sono riusciti a creare e a controllare, per il loro
sistema gerarchico, per la loro tattica abilissima, per la loro conoscenza della
natura umana, per l’uso accorto che fanno delle debolezze umane al fine di
dominare i credenti.
Sistema chiesastico senza cristianesimo, disciplina di una regola monastica,
non per amor di Dio o per la salvezza dell’uomo, ma per amor dello Stato e
per maggior gloria e potenza del demagogo mutato in Capo: questa la meta
a cui mirava la sua sistematica commozione delle masse.
Vediamo che cosa pensava Hitler delle masse che riuscì a muovere e come
seppe muoverle.
Il principio primo da cui Hitler partì era un giudizio di valore: le masse sono
estremamente spregevoli, incapaci di pensiero astratto, disinteressate a ogni
evento che stia oltre l’esperienza immediata.
Il loro comportamento è determinato non dalla conoscenza e dalla ragione,
ma da sentimenti e da impulsi inconsci.
Proprio in questi sentimenti, in questi impulsi, si devono piantare le radici dei
loro atteggiamenti, positivi e negativi.
Per giungere al successo il propagandista deve saper manipolare istinti e
sentimenti.
La forza motrice che ha mosso le più colossali rivoluzioni della terra non è
mai stata un corpo di nozioni scientifiche che abbia acquisito potere sulle
masse, ma sempre una devozione che le masse ha ispirato, e spesso una
sorta di isteria che le ha stimolate all’azione.
Chi vuol conquistare le masse deve conoscere la chiave che aprirà la porta
dei loro cuori….
Per dirla in gergo post freudiano, del loro inconscio.
Hitler trovò particolare udienza fra i piccolo borghesi rovinati dall’inflazione
del 1923, e poi ancora dalla depressione del 1929 e degli anni seguenti. ‘Le
masse’ di cui egli parla erano questi milioni di poveri uomini avviliti, delusi, in
stato cronico di ansietà.
Per trasformarli in massa, per dar loro omogeneità a livello subumano, egli li
adunò, a migliaia, a decine di migliaia, in enormi saloni, o all’aperto, dove
l’individuo perdesse l’identità personale, anche l’umanità più elementare, e
affogasse nella folla.
Un uomo, o una donna, entra in contatto con la società in due modi: o come
membro di un gruppo, familiare, professionale, religioso, o come membro di
una folla.
Un gruppo può avere la moralità e l’intelligenza dei singoli che lo formano;
ma la folla è caotica, non ha un suo proposito, ed è capace di tutto, tranne
che di azione intelligente e di pensiero realistico.
Adunata in folla, la gente perde la capacità di ragionare, di compiere una
scelta morale.
Diventa suggestionabile al punto di non avere più giudizio o volontà propria.
Facilmente si eccita, perde il senso della responsabilità, collettiva e
individuale, si lascia prendere da improvvisi accessi d’ira, d’entusiasmo, di
panico.
Insomma l’uomo nella folla si conduce come se avesse ingerito una forte
dose d’un potente veleno.
E’ vittima di quel che io chiamo ‘avvelenamento da gregge’.
Come l’alcool, anche questo è una droga attiva, estroversa.
L’individuo avvelenato dalla folla sfugge alla responsabilità, all’intelligenza,
alla moralità, per entrare in uno stato di amenzia frenetica, animalesca.
Nella sua lunga carriera di agitatore politico, Hitler aveva studiato gli effetti di
quel veleno e aveva imparato a sfruttarlo ai suoi fini.
Aveva scoperto che un oratore può fare appello a quelle ‘forze nascoste’ che
motivano l’azione umana, in modo assai più efficace di quanto sia concesso
allo scrittore.
Infatti il leggere è attività privata, non collettiva.
Lo scrittore parla solo a singoli individui, seduti in casa loro e perfettamente
lucidi.
L’oratore parla alle masse, già ben trattate col veleno del gregge.
Sono alla mercé di chi parla; se l’oratore sa il fatto suo, può far di loro quello
che vuole.
E come oratore Hitler sapeva benissimo il fatto suo.
Riusciva, ce lo racconta proprio lui, a seguire la guida della grande massa, in
modo tale che dal sentimento vivo degli ascoltatori veniva il suggerimento
della parola giusta, necessaria, che a sua volta tornava diritta al cuore degli
ascoltatori.
Otto Strasser lo definì un altoparlante, che proclama a gran voce i desideri
più segreti, gli istinti che meno volentieri si ammettono, le sofferenze e le
ribellioni personali di tutta una nazione.
Venti anni prima che Madison Avenue si avventurasse nella ‘ricerca
motivazionale’, già Hitler, sistematicamente, studiava e sfruttava i timori e le
speranze segrete, i desideri, le ansie, le delusioni delle masse tedesche.
Proprio manipolando le ‘forze nascoste’, gli esperti di pubblicità ci inducono a
comprare le loro merci: un dentifricio, una marca di sigarette, un candidato
politico.
E appellandosi a quelle medesime forze nascoste, e ad altre, ma troppo
pericolose perché se ne occupi Madison Avenue, Hitler indusse le masse
tedesche a comprarsi un Fhrer, una filosofia pazza e una seconda guerra
mondiale.A differenza delle masse, gli intellettuali hanno il gusto del
razionale, e si interessano dei fatti.
Grazie al loro abito mentale critico, resistono a quel tipo di propaganda che
funziona tanto bene con la maggioranza degli uomini.
Fra le masse l’istinto è supremo, e dall’istinto viene la fede…
Mentre il sano popolo ordinario d’istinto serra le file a formare una comunità
di popolo (sotto un Capo, inutile dirlo) gli intellettuali si sbandano a destra e a
manca, come galline su un’aia.
Con loro non si può far storia; non possono servire come componenti d’una
comunità.
Gli intellettuali sono proprio gli uomini che vogliono prove, e reagiscono
negativamente a un errore, a una incongruenza logica.
Per loro il semplicismo è peccato originale della mente umana; con loro non
giovano le parole d’ordine, le affermazioni generiche, le facili generalizzazioni
di cui si servono i propagandisti.
La propaganda efficace scriveva Hitler deve limitarsi a poche semplici
necessità, e quindi esprimerle in poche formule stereotipate.
Queste formule stereotipate vanno ripetute continuamente, perché solo la
ripetizione costante riuscirà alla fine a imprimere un concetto nella memoria
di una folla.
La filosofia ci insegna a non essere mai sicuri delle cose che paiono di per sé
evidenti.
La propaganda, all’opposto, ci insegna ad accettare come assiomatiche certe
cose su cui ragione vorrebbe che si sospendesse il giudizio, e intervenisse il
dubbio.
Scopo del demagogo è creare una coerenza sociale sotto la sua direzione.
Ma, come ha accennato Bertrand Russell, i sistemi dogmatici senza
fondamento empirico, come la scolastica, il marxismo, il fascismo, offrono il
vantaggio di produrre maggior coerenza sociale fra i discepoli.
Il propagandista demagogico deve quindi essere sempre un dogmatico.
Ogni sua affermazione sarà priva di sfumature.
Nel suo quadro del mondo non ci sarà posto per il grigio.
Secondo Hitler il propagandista deve fare suo un atteggiamento
sistematicamente unilaterale, rispetto ad ogni problema che affronti.
Non deve ammettere di potersi sbagliare, o che possa avere in parte ragione
chi non la pensa come lui.
Con gli avversari non si discute; si grida, si aggredisce, e se danno troppo
fastidio, si liquidano.
L’intellettuale, che moralmente è schizzinoso, si turberà a sentire queste
cose.
Ma le masse son perfettamente convinte che il diritto sta dalla parte
dell’aggressore.
Questa opinione dunque aveva Hitler delle masse.
Opinione molto bassa.
Ma era poi un’opinione giusta? L’albero si conosce dai frutti; e una teoria
della natura umana capace di dar luogo a tecniche di così orribile efficienza,
deve contenere almeno qualche elemento di verità.
Virtù e intelligenza compaiono negli esseri umani che, in quanto individui, si
associano liberamente con altri individui, a formare piccoli gruppi.
Lo stesso può dirsi del peccato e della stupidità.
Ma l’amenzia subumana a cui si appella il demagogo, l’imbecillità morale su
cui conta quando spinge le sue vittime all’azione, sono caratteristiche non
degli uomini e delle donne in quanto individui, ma degli uomini e delle donne
in quanto massa.
L’amenzia, l’idiozia morale, non sono attributi tipicamente umani; sono
sintomi d’avvelenamento da gregge.
In tutte le religioni superiori di questo mondo, salvezza e illuminazione
toccano all’individuo.
Il regno dei cieli sta nella mente della persona, non nell’amenzia collettiva
della folla.
Cristo promise d’essere presente là dove si adunassero due o tre persone.
Non parlò mai d’una sua presenza là dove le migliaia si intossicano
reciprocamente col veleno del gregge.
Sotto il nazismo si costringevano folle enormi a sprecare quantità enormi di
tempo marciando inquadrate dal punto A al punto B, e poi di nuovo al punto
A. Questo tenere la popolazione in marcia pareva un insensato spreco di
tempo e d’energia.
Solo più tardi aggiunge Herman Rauschning si scoprì in tutto questo una
sottile intenzione, fondata su di un ben calcolato adattamento dei mezzi ai
fini.
La marcia distrae i pensieri dell’uomo.
La marcia uccide il pensiero.
La marcia pone fine all’individualità.
La marcia è un colpo magico, che serve ad avvezzare il popolo a una attività
meccanica, quasi rituale, che a un certo punto diviene la sua seconda natura.
Dal suo punto di vista, e sul piano da lui prescelto per compiere quest’opera
tremenda, Hitler era assolutamente nel giusto, valutando la natura dell’uomo.
Ma quelli fra noi che considerano l’uomo e la donna come individui, e non
come membri della folla, o di una collettività irreggimentata, diranno che
Hitler aveva torto, orrendamente torto.
Ebbene, in un’epoca in cui si accelera la sovrappopolazione, si accelera la
superorganizzazione, si perfezionano i mezzi di comunicazione di massa,
come possiamo noi salvare l’interezza e riaffermare il valore dell’individualità
umana? E’ una domanda che ancora si può porre e a cui forse si può ancora
rispondere validamente.
Può darsi che fra una generazione sarà già troppo tardi per trovare la
risposta.
Può darsi addirittura che sarà impossibile porsela, nel soffocante clima
collettivo di quel futuro.

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