Ritorno al Mondo Nuovo

di Aldous Huxley

Capitolo IV

 

 

LA PROPAGANDA IN UNA SOCIETA’ DEMOCRATICA.
Secondo le dottrine d’Europa, scriveva Jefferson gli uomini in associazioni
numerose possono contenersi entro i limiti dell’ordine e della giustizia solo
mediante la forza fisica e morale imposta da un’autorità indipendente dal loro
volere…
Noi [i fondatori della nuova democrazia americana] crediamo che l’uomo sia
animale razionale, dotato per natura di diritti, e con innato il senso della
giustizia, e che si possa distoglierlo dal torto, e proteggerlo nel diritto,
mediante poteri moderati, affidati a persone di sua scelta e tenute al proprio
dovere dalla dipendenza alla sua volontà.
A orecchie postfreudiane un linguaggio simile suona bizzarro, ingenuo, in
modo commovente.
Gli esseri umani sono molto meno razionali e naturalmente giusti di quanto
supponevano gli ottimisti del Settecento.
Ma non sono neppure moralmente ciechi o disperatamente irragionevoli
come vorrebbero farci credere i pessimisti del secolo nostro.
Nonostante l’Id e l’Inconscio, nonostante le nevrosi endemiche e il prevalere
di un basso quoziente d’intelligenza, gli uomini e le donne sono, a
maggioranza, persone assennate e ammodo, almeno quanto basta per
affidare a ciascuno la direzione del proprio destino.
Le istituzioni democratiche sono mezzi per conciliare l’ordine sociale con la
libertà e con l’iniziativa individuale, e per mettere il potere immediato dei
governanti sotto il potere finale dei governati.
Il fatto che in Europa occidentale e in America questi mezzi hanno
funzionato, a conti fatti, non troppo male, dimostra che gli ottimisti del
Settecento non sbagliavano del tutto.
In condizioni favorevoli gli esseri umani sanno governarsi da sé, e si
governano meglio, anche se magari con minore efficienza meccanica, che se
fossero sottoposti a una autorità indipendente dal loro volere.
In condizioni favorevoli, ripeto: questo è un presupposto indispensabile.
Un popolo che dalla servitù sotto il dominio d’un tiranno passi all’improvviso a
uno stato, per lui assolutamente ignoto, di indipendenza politica, quel popolo
non ha, diciamolo, le condizioni per le quali possano funzionare gli istituti
democratici.
Ancora: un popolo che viva in precarie condizioni economiche poco
probabilmente riuscirà a governarsi secondo democrazia.
Il liberalismo fiorisce in atmosfera di prosperità, declina col venire meno della
prosperità, quando è necessario che il governo intervenga in modo sempre
più frequente e drastico negli affari dei soggetti.
Sovrappopolazione e superorganizzazione, come già ho accennato, sono
due elementi che privano il corpo sociale della possibilità di far funzionare
efficacemente gli istituti democratici.
Vediamo dunque che talune condizioni storiche, economiche, demografiche
e tecnologiche rendono difficile all’animale razionale jeffersoniano, che
natura ha dotato di inalienabili diritti e d’un innato senso della giustizia,
l’esercizio della ragione, la difesa dei diritti, l’azione giusta entro i limiti di una
società organizzata democraticamente.
A noi dell’Occidente è toccata la somma fortuna d’una buona possibilità di
compiere un grandioso esperimento d’autogoverno.
Purtroppo oggi, mutate le circostanze, pare che questa preziosissima
possibilità ci sia stata a poco a poco tolta.
E non è tutto.
Quelle cieche forze impersonali non sono l’unico nemico della libertà
individuale e delle istituzioni democratiche.
Vi sono anche altre forze, di carattere meno astratto, forze a cui possono
ricorrere individui a caccia deliberata del potere, intesi a stabilire sui loro
simili un controllo, parziale o assoluto.
Cinquant’anni or sono, quando io ero ragazzo, sembrava ovvio che i vecchi
brutti tempi fossero finiti, che tortura, massacri, schiavitù, persecuzione degli
eretici, fossero cose del passato.
A questi orrori nemmeno ci pensava più l’uomo che portava il cilindro,
viaggiava in treno, faceva il bagno tutte le mattine.
Dopo tutto, vivevamo nel ventesimo secolo.
Eppure, pochi anni dopo, questi uomini che facevano il bagno ogni mattina e
andavano in chiesa col cilindro in testa, dovevano commettere crudeltà mai
sognate dai selvaggi d’Asia e d’Africa.
Se pensiamo alla storia recente, sarebbe sciocco supporre che cose simili
non possano mai più succedere.
Possono succedere, succederanno senz’altro.
Ma, nel futuro immediato, c’è motivo di credere che i metodi punitivi di “1984”
cederanno alle induzioni, alle manipolazioni del “Mondo nuovo”.
Vi sono due tipi di propaganda: la propaganda razionale, stimolo all’azione
consona all’interesse illuminato di chi la esercita e di chi la riceve; e la
propaganda irrazionale, che non è consona all’interesse illuminato di
nessuno, e viene dettata dalla passione, e alla passione fa appello.
Quando è in gioco l’azione dell’individuo, ci sono motivi più elevati del
semplice interesse; ma quando si tratta di intraprendere una azione collettiva
nel campo della politica e dell’economia, l’interesse illuminato è
probabilmente il massimo motivo.
Se politici ed elettori agissero sempre in vista dell’interesse proprio, o di
quello, in prospettiva, del loro paese, il mondo sarebbe un paradiso terrestre.
E invece essi spesso agiscono contro il proprio interesse, solo per soddisfare
la più incredibile delle passioni; di conseguenza il mondo è luogo di sciagura.
La propaganda per l’azione consona all’interesse illuminato fa appello alla
ragione, servendosi di un’argomentazione logica basata sulle prove migliori
possibili, esposte in piena sincerità.
Invece la propaganda per l’azione dettata da impulsi inferiori all’interesse,
ricorre a prove false, mutile, incomplete, evita il rigore della logica, cerca di
influenzare le sue vittime ripetendo frasi vuote, attaccando furiosamente un
capro espiatorio, indigeno o straniero, accomunando scaltramente le peggiori
passioni con gli ideali più alti, sì che la crudeltà possa commettersi nel nome
di Dio, e la più cinica “Realpolitik” possa trattarsi come questione di principio
religioso e di dovere patriottico.
Afferma John Dewey: Una rinascita della fede nella comune natura umana,
nelle sue possibilità in generale, e in particolare nella sua virtù di rispondere
alla ragione e alla verità, è più sicuro baluardo contro il totalitarismo che non
la dimostrazione del successo materiale o la venerazione delle singole forme
legali e politiche.
La virtù di rispondere alla ragione e alla verità esiste in tutti noi.
Ma purtroppo c’è anche, in noi, la tendenza a rispondere alla falsità e alla
sragionevolezza, soprattutto nei casi in cui la falsità evochi una qualche
gradevole sensazione, o quando l’appello alla sragionevolezza tocchi una
corda sensibile nelle profondità primitive e subumane del nostro essere.
In alcuni campi di attività gli uomini hanno imparato a rispondere con
sufficiente coerenza alla ragione e alla verità.
Chi scrive un articolo dotto non fa appello alla passione dei suoi colleghi
scienziati o tecnologi.
Egli espone ciò che, a suo sapere, è verità circa un particolare aspetto del
reale; usa la ragione per spiegare i fatti osservati e sostiene il proprio punto
di vista con argomenti che si rivolgono alla ragione altrui.
E’ abbastanza facile, nel campo della scienza fisica e della tecnologia.
Molto più difficile nel campo della politica, della religione, della morale.
Perché qui i fatti che contano spesso ci sfuggono.
In quanto al significato dei fatti, è chiaro che tutto dipende dal particolare
sistema di idee, in base alle quali si decide di interpretarli.
E non ci sono queste difficoltà soltanto, per chi cerchi verità secondo ragione.
Nella vita pubblica e nella privata spesso manca il tempo di raccogliere i fatti
che contano o di pesarne il significato.
Siamo costretti ad agire in base a prove insufficienti, servendoci di lumi assai
meno sicuri che non quelli della logica.
Con tutta la buona volontà, non sempre noi possiamo essere completamente
nel vero, coerentemente nella ragione.
Possiamo essere veritieri e razionali nella misura che le circostanze ci
permettono, e rispondere meglio che sappiamo alla parziale verità, al
ragionamento imperfetto che gli altri ci offrono in considerazione.
Se una nazione pretende d’essere ignorante e libera diceva Jefferson essa
pretende ciò che mai è stato e mai sarà…
Un popolo non può essere al sicuro senza il sapere.
Là dove la stampa è libera, e ciascuno sa leggere, tutto è al sicuro.
Sull’altra riva dell’Atlantico, un altro appassionato fedele della ragione, la
pensava, in quegli stessi anni, pressoché allo stesso modo.
Ecco cosa scriveva John Stuart Mill del padre, il filosofo utilitarista James
Mill: Così assoluta era la sua fiducia nell’influenza della ragione sulla mente
dell’uomo, quando le sia consentito di giungervi, che egli pensava sarebbe di
sommo vantaggio se tutti gli uomini imparassero a leggere, se si consentisse
a opinioni d’ogni genere di giungere agli uomini, mediante la parola o lo
scritto, e se mediante il suffragio gli uomini potessero nominare una
legislatura per tradurre in pratica le opinioni prescelte. “Tutto è al sicuro,
sarebbe di sommo vantaggio!” Riascoltiamo il timbro dell’ottimismo
settecentesco.
Jefferson, per la verità, era un ottimista assai realistico.
Sapeva, per sua amara esperienza, che la libertà di stampa si può
vergognosamente reprimere.
Non si può credere nulla scriveva di quel che si legge in un giornale.
Eppure, insisteva (e non possiamo che dargli ragione), nei limiti della verità la
stampa è nobile istituzione, amica della scienza e della libertà civile.
La comunicazione di massa, insomma, non è né un bene né un male; è solo
una forza, e come ogni forza può servire al bene e al male.
Usate in certo modo, stampa, radio e cinema sono indispensabili alla
sopravvivenza della democrazia.
Usate in modo opposto, divengono le armi più possenti dell’arsenale
dittatoriale.
Nel campo della comunicazione di massa, come quasi in ogni altro campo, il
progresso tecnologico ha danneggiato l’Uomo Piccolo e favorito l’Uomo
Grosso.
Appena cinquanta anni or sono, ogni paese democratico poteva vantare gran
numero di giornaletti, anche in provincia.
Migliaia di direttori, dalla provincia, esprimevano altrettante opinioni
indipendenti.
C’era per tutti in un modo o nell’altro, la possibilità di stampare tutto quel che
si desiderasse.
Ancor oggi la stampa è libera, legalmente; ma quasi tutti i piccoli giornali
sono spariti.
Costano troppo, per l’Uomo Piccolo, polpa di legno, macchine moderne,
agenzie di stampa.
Nei paesi totalitari d’Oriente c’è la censura politica, e i mezzi della
comunicazione di massa son controllati dallo Stato.
Nelle democrazie d’Occidente c’è la censura economica e i mezzi di
comunicazione di massa sono controllati dalla élite al potere.
Certo, la censura che si esercita alzando i costi e concentrando i mezzi di
comunicazione nelle mani di poche grosse imprese, è meno ripugnante della
proprietà statale e della propaganda governativa; ma è sempre cosa che un
democratico jeffersoniano non approverebbe.
In quanto alla propaganda, gli antichi sostenitori dell’alfabetismo universale e
della stampa libera prospettavano solo due possibilità: la propaganda è vera
o è falsa.
Non previdero quel che di fatto è
accaduto, soprattutto nelle nostre democrazie capitaliste occidentali: il
sorgere di una grossa industria della comunicazione di massa che non dà al
pubblico né il vero né il falso, ma semmai l’irreale, ciò che, più o meno, non
significa nulla.
Insomma, essi non tennero conto d’un’altra caratteristica dell’uomo: il suo
appetito pressoché insaziabile di distrazioni.
In passato quasi a nessuno toccava la possibilità di soddisfare pienamente
questo appetito.
Gli uomini cercavano le distrazioni, ma poche ne trovavano disponibili.
Natale veniva una volta l’anno, le feste erano ‘rare e solenni’, c’erano pochi
lettori e poco da leggere: in quanto al cinema, c’era quello della parrocchia,
con spettacoli frequenti sì, ma noiosi.
Per ritrovare una situazione paragonabile, ma alla lontana, con quella d’oggi,
dobbiamo risalire alla Roma imperiale, quando, per tener buono e allegro il
popolino, gli si concedevano, a dosi frequenti e gratuite, divertimenti d’ogni
genere: dai drammi in poesia ai combattimenti dei gladiatori, dalla recita di
Virgilio alla lotta libera, dai concerti alle parate militari e alle esecuzioni
capitali in pubblico.
Ma nemmeno a Roma c’era qualcosa che somigliasse alla inarrestabile
distrazione che oggi offrono giornali e riviste, radio, televisione e cinema.
Questo flusso inarrestabile di distrazioni, nel mio “Mondo nuovo” veniva
usato deliberatamente quale strumento di politica, per impedire alla gente di
badare troppo alla realtà della situazione sociale e politica.
L’altro mondo della religione è diverso dall’altro mondo del divertimento; ma
si somigliano molto in quanto ambedue sono un ‘altro’ mondo, e non questo.
Ambedue sono distrazioni e, per chi ci vive dentro con troppa continuità,
possono trasformarsi, come diceva Marx in ‘oppio del popolo’ e quindi in una
minaccia alla libertà.
Solo chi è vigile può serbare le proprie libertà, solo quelli che stanno sempre
all’erta, col cervello ben desto, possono sperare di governarsi con strumenti
democratici.
Ma quando i membri di una società passano gran parte del loro tempo non
all’erta, col cervello ben desto, qui e ora, o nel futuro immediato, ma altrove,
nell’altro mondo dello sport e della canzone, della mitologia e della fantasia
metafisica, allora sarà ben difficile resistere all’assedio di chi vuole
manipolare e controllare la società.
Oggi, per la loro propaganda, i dittatori si avvalgono soprattutto di tre mezzi:
iterazione, soppressione e razionalizzazione: ripetizione di frasi fatte, che
essi vogliono fare accettare per vere; soppressione di fatti, che essi vogliono
ignorati; suscitamento e razionalizzazione di passioni che possono poi usarsi
nell’interesse del Partito o dello Stato.
Poiché si approfondiscono l’arte e la scienza della manipolazione, i dittatori di
domani sapranno certamente unire a quelle tecniche il flusso continuo delle
distrazioni, un elemento che già oggi, in Occidente, minaccia di far affogare
in un oceano di fatuità la propaganda razionale, indispensabile per la
conservazione della libertà individuale e la sopravvivenza delle istituzioni
democratiche.

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