Un’ideologia cieca e sorda

di Adriano Segatori

 

La questione immigratoria da decenni si scontra con una impostazione ideologica infarcita di masochismo, di terzomondismo, di buonismo che la rende cieca di fronte a documenti ufficiali che la inquadrano all’interno di una strategia globalista, e sorda nei confronti di rumori di malessere e di rivolta che si propagano dai paesi in cui tolleranza e integrazione hanno dimostrato in pieno il proprio fallimento.

Mentre in Francia, in Belgio, in Olanda e nei paesi nordici ci sono interi quartieri presidiati e occupati da fondamentalisti musulmani, e mentre nella civile Inghilterra sono istituzionalizzate corti islamiche che giudicano i propri appartenenti secondo la sharia, in Italia si continua con l’usuale sterile diatriba sulle motivazioni delle rivolte in atto e dell’insofferenza diffusa.

I problemi sono complessi e non possono essere affrontati con gli strumenti parziali e settoriali dell’impostazione sociologica.

Innanzitutto, bisogna prendere atto che il fenomeno migratorio, come ampiamente documentato da Kelly Greenhill, docente di Harvard, è sempre stato prodotto come una forma di destabilizzazione dei paesi accoglienti.

Poi, per quanto riguarda l’Italia e l’Europa, già nel 1974, il presidente algerino Boumédiène aveva dichiarato alle Nazioni Unite – e non in qualche oscura e nascosta moschea – che “Un giorno milioni di uomini lasceranno l’emisfero sud per fare irruzione nell’emisfero nord. E non in modo amichevole. Verranno per conquistarlo, e lo conquisteranno popolandolo con i loro figli. E il ventre delle nostre donne ci darà la vittoria”.

A supporto di questa comunicazione ufficiale di invasione, c’è un documento datato 1982 e intitolato “Padroneggiare l’arte del possibile”, nel quale in 14 punti si delineano tattiche strategiche per infiltrarsi nelle istituzioni degli Stati ospitanti ed occuparli.

Ci sono poi atti di una lunga inchiesta condotta da due giornalisti investigativi francesi, e pubblicati con il titolo Qatar Papers, nei quali viene documentata la strategia di occupazione commerciale e finanziaria degli Stati europei e nei primi posti dell’Italia.

Insomma, è tutto scritto e comprovato, e solo chi volutamente ignora non può essere al corrente.

E un capitolo a parte riguarda il problema dell’integrazione, che si diversifica sotto due aspetti. Il primo è quello che si può definire social-politico: la non volontà e il non desiderio di integrarsi, ma anzi la precisa determinazione a costruire delle comunità impermeabili ai valori della società di accoglienza. Il secondo, più complesso, psico-culturale, riguarda appunto la componente psichica degli allogeni, il loro retaggio culturale ben sedimentato nell’inconscio individuale e collettivo.

Alla fine, si può ben dire che tutte le manfrine sulle problematiche lavorative, di frustrazione, di emarginazione e di altri aspetti commerciali ed emotivi, sono fondamentalmente inutili e fallimentari. Per dirla alla Jack Donovan, vanno bene “per qualche megera esaltata e nichilista e la sua corte di rinsecchiti e sottomessi cicisbei”.

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