L’economia di alpeggio vale 7 milioni di euro nel torinese

di Redazione Electo

 

È partita la monticazione negli 860 alpeggi delle vallate torinesi: un’attività che impiega oltre 3.200 persone. Una tradizione che si ripete da 5.000 anni, epoca della prima colonizzazione delle Alpi, e che segue la maturazione delle erbe alpine. La particolarità dell’economia d’alpeggio è poco conosciuta dai consumatori, eppure è alla base delle produzioni dei formaggi tipici della gastronomia piemontese dove la qualità del latte, influenzata direttamente dalle specie vegetali brucate dalle mucche, conferisce caratteristiche uniche ai formaggi.

 

Per comprendere la portata della monticazione estiva nel Torinese bastano alcuni dati. Sono 860 le aziende di allevamento bovino che salgono nelle valli utilizzando oltre 600 Km quadrati di pascoli, una superficie che equivale addirittura la 10% dell’intero territorio della Città metropolitana di Torino.

Le mucche che trascorrono i classici 100 giorni estivi in alpeggio sono oltre 36.300. Circa la metà sono bovini da carne dove prevale la pregiata razza piemontese. Invece, le bovine da latte in alpeggio, in una stagione, producono oltre 11 milioni di litri di latte che, nei circa 200 caseifici d’alpeggio autorizzati, vengono trasformati in oltre 80mila forme di formaggio stagionato, dove primeggia la profumata Toma (la più celebrata è quella di Lanzo) seguita dal Plaisentif, il formaggio delle violette, dal Cevrin, dal Blu erborinato (per citare i più ricercati). A questi vanno aggiunti gli oltre 200mila panetti da mezzo Kg di prelibato burro ricco di vitamina A, vitamina E, flavonoidi. Un’economia che è intimamente legata alla catena ecologica che parte dalla posizione geografica del pascolo e prosegue con la professionalità e la capacità di osservazione del pastore con la scelta oculata delle erbe da fare pascolare. Il pastore deve anche essere molto attento alla buona salute e al benessere del ruminante. Il risultato da raggiungere è la più alta qualità del latte tenendo conto delle caratteristiche che cambiano con le erbe brucate. Il buon latte deve essere, poi, lavorato con abilità seguendo ricette esclusive di famiglia per la caseificazione di burro e formaggi. Ogni prodotto d’alpeggio è quindi frutto di una serie di peculiarità che lo rendono non replicabile su scala industriale.

«L’economia d’alpeggio delle vallate torinesi – ricorda il presidente di Coldiretti Torino, Bruno Mecca Cici – ha un fatturato di oltre 7 milioni di euro, ma sconta gli altissimi costi di produzione dovuti a un lavoro difficile in zone assolutamente disagiate dove spesso i formaggi si portano a valle ancora con il mulo o, nei casi migliori, con il fuoristrada; e dove, se una mucca si fa male o l’auto deve andare dal meccanico, è una mezza tragedia. Senza parlare degli attacchi dei lupi che stanno facendo rinunciare molti allevatori a portare in montagna gli ovini e i caprini. Senza l’economia d’alpeggio il territorio montano sarebbe abbandonato e sarebbe del tutto improduttivo. E nemmeno esisterebbero i formaggi tipici della provincia di Torino. Difendere i nostri alpeggi e i nostri margari (i pastori ndr) significa difendere il cuore della nostra ricchezza enogastronomica; vuol dire difendere la cura del territorio e sostenere tanti posti di lavoro che in molti casi sono rappresentati da giovani che amano il rapporto con gli animali e una vita che segue i ritmi della natura».

 

In questi giorni le mandrie pascolano le erbe fiorite a 1.000-1200 metri di quota; tra una settimana saliranno a 1.500-1800 metri, per stabilirsi, a luglio, oltre i 2.000 metri dove le erbe fioriscono in piena estate. Tutti i pascoli vengono utilizzati secondo tecniche di consumo delle erbe ben precise dove le mucche brucano (e così favoriscono la ricrescita delle erbe con maggiore valore nutritivo) ma nello stesso tempo evacuano, distribuendo, così, il loro concime naturale in ogni angolo di pascolo, in una vera, e antica, forma di economia circolare.

Quando tutti i prati di montagna saranno stati brucati e stercorati sarà il tempo del ritorno in pianura.

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