La crudeltà di un miserabile

di Adriano Segatori

 

Alessandro Impagnatiello, l’assassino di Giulia Tramontano, non necessita di approfondimenti né clinici né tanto meno umani, secondo la retorica buonista e perdonista delle coscienze sporche della contemporaneità. L’unico appunto, di natura giuridica, è la cornice penale entro la quale inserire il suo gesto criminale: imputarlo di “omicidio pluriaggravato, occultamento di cadavere e interruzione di gravidanza non consensuale” con l’esclusione della premeditazione è un’abiezione del codice penale, un avvilimento della giurisprudenza ormai appiattita sui criteri di una (im)moralità decolpevolizzante e deresponsabilizzante. Era stressato lo psicopatico, non sapeva cosa faceva.

Intanto, il quarantenne Omar Favaro, che ventidue anni fa uccise la madre e il fratello della fidanzatina Erika De Nardo è imputato di violenza sessuale e maltrattamenti nei confronti della moglie davanti alla figlia minore. Era stressato lo psicopatico.

Gianni Izzo, pluriassassino, violentatore, torturatore, aveva ucciso nuovamente dopo essere stato riabilitato da una commissione di psichiatri e magistrati. Era rinsavito lo psicopatico.

Come dissi in un’intervista casuale, che rilasciai a La7 alcuni anni fa a proposito dell’omicida di Pamela Mastropietro, certi individui vanno soppressi per igiene sociale, non per odio. Una società sana, le mele marce le elimina, perché, come scrisse il criminologo Picozzi, ci sono elementi che non solo non sono curabili, ma sono intrattabili. E questo è il problema.

Gli omicidi, gli infanticidi, le violenze ci sono sempre state nei secoli, e sempre ci saranno, ma il fatto grave è che questa società il male, il degenerato, il depravato lo ha accolto nell’ambito psicologico e sociologico della cura impossibile, dell’accudimento fallimentare, della comprensione rovinosa.

Ma c’è anche di peggio. E per dimostrarlo voglio commentare alcune considerazioni che Charles Melman, famoso psicoanalista francese, esprime a proposito di quello che lui definisce “L’uomo senza gravità” e della società che rappresenta. Finito il sentimento comunitario, con l’introduzione del contratto societario, il rapporto interpersonale è <<fondato solo sul fatto di sostenersi sugli altri, nella misura in cui gli altri condividono lo stesso godimento>>, che tradotto vuol dire, mi servi fintantoché mi torni utile per il mio benessere e la mia immagine sociale. Dopo di che, con l’apologia dei diritti è stato avviato il superamento di ogni limite e <<l’eccesso è divenuto norma>>, e tutto ciò che dovrebbe rientrare in una condizione regolata di responsabilità, di impegno, di vincolo morale e affettivo diventa una palla al piede da eliminare senza remore né scrupoli. Infine – saltando a piè pari molte altre interessanti osservazioni – <<si rivendica il diritto alla libera espressione di tutte le voglie e alla loro piena soddisfazione>>, confermando, alla fine, come <<La perversione diventa una norma sociale>>.

Henri Landru non è più il simbolo del male riconoscibile e riscontrabile come un’anomalia sociale, ma è il fighetto gentile ed educato il portatore anonimo di una miserabile crudeltà.

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