Falsità ideologica commessa dall’immigrato e non sanzionato

Falsità ideologica commesso dall'immigrato e non sanzionato

Falsità ideologica commesso dall'immigrato e non sanzionatoIl legislatore penale del 1930 ha inserito il reato, di cui all’art. 479 c.p., nel Libro II (Dei delitti in particolare), Titolo VII (Delitti contro la fede pubblica), Capo III (della falsità in atti)del vigente codice penale.

In sintesi, osservo che i reati previsti nel predetto capo (dal 476 c.p. al 493 bis c.p.) hanno un proprio comun denominatore, ovvero sono caratterizzati dal fatto di contravvenire alla c.d. pubblica fede documentale.

In via preliminare è opportuno delineare le differenze che intercorrono fra le falsità ideologiche che in parte sono oggetto di questa trattazione e le falsità materiali.

Orbene, le prime ricorrono allorquando l’atto è interamente genuino, e unicamente il suo contenuto non è veridico.

Invece, le falsità materiali si hanno allorquando l’atto non è genuino, quando vi è divergenza tra l’autore apparente e l’autore reale dello stesso, quando l’atto è contraffatto o alterato (ad es.: cancellazione di una parola).

In sintesi, la falsità ideologica riguarda l’atto nel suo contenuto ideale il quale risulta così non veritiero.

È necessario puntualizzare che il confezionamento di documenti contenenti dichiarazioni non vere sarà punibile a titolo di falso ideologico solo se l’autore sia venuto meno ad un obbligo giuridico di attestare o far risultare il vero.

Al contrario, la falsità cd. materiale attiene alla realtà fenomenica del medesimo nel senso che fa apparire venuto ad esistenza un atto che non è mai stato formato.

Inoltre, norme penali in tema di falso proteggono interessi pubblici indisponibili da parte dei privati ed il consenso del titolare dei poteri documentali non è in grado di attribuire alcun effetto scriminante e tanto meno di elidere, di rimuovere l’antigiuridicità della condotta posta in essere.

Il delitto di falso ideologico, di cui all’art. 479 c.p., presuppone necessariamente l’occultamento della situazione reale.

La natura dei delitti di falso è proprio quella di essere dei delitti di pericolo e non di danno, non essendo richiesto che un danno si verifichi.

Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 479 codice penale, si punisce “il pubblico ufficiale, che, ricevendo o formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni[1], attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità”.

L’autorità giudiziaria competente, per questa fattispecie penale incriminatrice, è il Tribunale in composizione monocratica (art. 33-ter c.p.p.) e si tratta di un reato procedibile d’ufficio (art. 50 c.p.p.) dove è prevista anche la celebrazione dell’udienza preliminare (artt. 416 e ss. c.p.p.). Inoltre, le misure cautelari personali dell’arresto è facoltativo in flagranza (art. 381 c.p.p.) e del fermo di indiziato di delitto (art. 384 c.p.p.) sono consentite soltanto nell’ipotesi di cui al comma 2 dell’articolo 476 c.p., al quale si tiene di potere fare riferimento anche ai fini della determinazione delle aggravanti. Inoltre, le misure cautelari personali interdittive (art. 287 c.p.p.) e coercitive (art. 280 c.p.p.) possono essere consentite e, quindi, applicabili.

Inoltre, il termine di prescrizione è quello di 6 anni in relazione al 1° comma dell’art. 476 c.p. ed, invece, di 10 anni in relazione al 2° comma dell’art. 476 c.p.

Sotto il profilo sanzionatorio, il reato in esame, nell’ipotesi semplice, soggiace alla pena della reclusione da 1 a 6 anni. Invece, nell’ipotesi aggravata è prevista la reclusione da 3 a 10 anni.

Il bene giuridico tutelato da tale fattispecie incriminatrice è la fede pubblica. Si deve intendere per fede pubblica la fiducia che la collettività ripone in determinati oggetti o simboli (per esempio il sigillo notarile), o atti giuridici, sulla cui veridicità o autenticità deve potersi fare affidamento per poter rendere certo, sollecito ed affidabile il traffico economico e giuridico. Più in particolare, il legislatore del 1930 ha voluto tutelare anche la fiducia e la sicurezza delle relazioni giuridiche all’interno del sistema sociale.

Il momento consumativo del reato si ha nel momento in cui l’atto contenente le false attestazioni è formato dal pubblico ufficiale e, quindi, con la sottoscrizione del documento. Da ciò ne consegue che il reato in oggetto è di natura istantanea e si perfeziona con la formazione dell’atto, indipendentemente dall’uso dell’atto stesso. Pertanto, così come illustrato all’inizio della trattazione, si tratta di un reato di pericolo, tanto che non si richiede il verificarsi di un danno concreto.

In relazione ai soggetti attivi, quindi, il falso ideologico punito dall’art. 479 c.p. si presenta quale reato proprio; osservo, nuovamente, che si tratta di un reato proprio in quanto il soggetto attivo può essere soltanto un pubblico ufficiale. Tuttavia, in ragione dell’art. 493 c.p. la norma è applicabile anche agli atti compiuti dal pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio dello Stato o di un altro Ente Pubblico, relativamente agli atti che essi redigono nell’esercizio delle loro attribuzioni.

L’elemento caratterizzante della qualità di pubblico ufficiale è quello dell’esistenza del potere pubblico autoritativo in senso lato, del quale, in sostanza, fa parte anche il potere certificativo. L’esistenza di quest’ultimo non necessariamente deve essere prevista in maniera esplicita, ben potendo risultare dalla natura dell’atto posto in essere, in relazione ai fini dello stesso.

L’elemento psicologico del reato in esame è costituito dal dolo generico[2], ovvero dalla coscienza e dalla volontà di attestare falsamente qualcosa in un atto pubblico (art. 2699 codice civile).Pertanto, osservo che ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 del codice civile “l’atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato”. Inoltre, si deve aggiungere che “l’atto pubblico, fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”.

L’efficacia probatoria dell’atto pubblico, nella parte in cui fa fede fino a querela di falso, a norma dell’art. 2700 codice civile, è delimitata alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l’ha formato, nonché ai fatti che il pubblico ufficiale attesta essere accaduti alla sua presenza o essere da lui compiuti.

Invece, per quanto attiene agli atti pubblici stranieri, lo scrivente osserva che essi possono utilmente beneficiare della tutela prevista per i documenti pubblici solo se siano state correttamente osservate le norme che disciplinano il procedimento per assegnare loro un’efficacia giuridica all’interno del territorio nazionale italiano.

Lo scrivente, in particolare, ritiene ed afferma allo stesso tempo che nel reato in commento (così come per tutti i reati di falso) non è sufficiente ai fini del dolo la mera coscienza dell’ “immutatio veri”, ma è necessario anche il convincimento del reo di agire in contrasto, in opposizione con le sostanziali esigenze dell’ordinamento giuridico.

Pertanto, l’elemento della colpa viene subito eliminato dalla considerazione soggettiva di tali fattispecie incriminatrici. Il dolo ricorre allorquando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione o dell’omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente previsto e voluto come conseguenza della propria azione o omissione (art. 43 c.p.).

L’illecito in esame viene punito a titolo di dolo generico, ritenendosi sufficiente la coscienza e la volontà della immutatio veri, senza che occorra un animus nocendi vel decipiendi (tradotto dal latino: un’ intenzione di nuocere o ingannare).

Tuttavia, il dolo nei delitti di falso in atto pubblico non è “in re ipsa”.

Esso, al contrario, deve essere sempre rigorosamente provato e va escluso tutte le volte in cui la falsità risulti essere oltre o contro l’intenzione del soggetto agente.

Quindi il dolo deve essere puntualmente riscontrato, poiché volere la falsità non significa agire con dolo potendo l’imputato aver agito con la persuasione di compiere cosa lecita.

Inoltre, ripeto, nuovamente, che il dolo deve essere escluso tutte le volte in cui la falsità risulti essere oltre o contro la intenzione dell’agente, come quando risulti essere semplicemente dovuta ad una leggerezza o ad una negligenza di costui, poiché il sistema vigente ignora del tutto la figura del falso documentale colposo.

Invece, quanto alla prova, il dolo, quale fenomeno interno e soggettivo, osservo che esso si esplica nella realtà esterna mediante segni esteriori, di modo che resta affidata ai facta concludentia, ossia a quelle modalità estrinseche dell’azione dotate di valore sintomatico. In particolare, assume anche un rilievo (a volte decisivo), ai fini della prova, l’eventuale scopo perseguito o meno dall’agente, di modo che l’indagine riservata al giudice di merito esige che ogni singolo caso sia inquadrato e valutato nella cornice di circostanze concomitanti e parallele.

Osservo, quindi, che la falsa attestazione sullo svolgimento di attività lavorativa in Italia da parte di un cittadino extracomunitario, assunta a presupposto di fatto per il rilascio del permesso di soggiorno da parte del pubblico ufficiale che forma l’atto è assolutamente idonea e sufficiente al fine di far integrare la fattispecie in esame.

Gli esempi e le ipotesi di falsità ideologica commessi dal pubblico ufficiale in atti pubblici possono essere innumerevoli.

Infatti, sul punto lo scrivente porta come esempio di falsità ideologica in atto pubblico anche la materiale esecuzione di iscrizioni, nel registro anagrafico della popolazione residente (cd. APR), di persone non abitualmente dimoranti nel Comune (Legge 24 Dicembre n. 1228/1954 – Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente – Gazzetta Ufficiale 12 Gennaio 1955 n. 8).

Infatti è idonea ad integrare il delitto di falsità ideologica anche la condotta del notaio che attesti falsamente essere state apposte in sua presenza delle sottoscrizioni in calce a dichiarazioni negoziali.

Un altro esempio di falsità ideologica può essere rappresentato, secondo il modesto parere dello scrivente, dall’estratto conto contributivo che viene rilasciato dall’INPS come atto pubblico e non come certificato amministrativo.

Quindi, sussiste il delitto di falso in atto pubblico nel caso in cui un dipendente dell’INPS sia in grado di modificare i dati contenuti nel supporto informatico e poi in quello cartaceo, tanto da creare una falsa posizione contributiva relativa ad un soggetto assicurato.

Secondo il modesto parere dello scrivente, con lo sviluppo tecnologico dell’informatica, anche l’archivio informatico di una Pubblica Amministrazione deve essere considerato alla stregua di un registro (costituito da materiale non cartaceo) tenuto da un soggetto pubblico, con la conseguenza che la condotta del pubblico ufficiale che, nell’esercizio delle sue funzioni e facendo uso dei supporti tecnici di pertinenza della Pubblica Amministrazione, confezioni un falso atto informatico destinato a rimanere nella memoria dell’elaboratore (computer), integra una falsità in atto pubblico, a seconda dei casi, materiale (art. 476 c.p.) o ideologica (art. 479 c.p.). Peraltro, resta ininfluente la circostanza che non sia stato stampato alcun documento cartaceo.

In tema di falso documentale, a mio modesto parere, per inidoneità dell’azione si deve intendere la falsità che si riveli in concreto inidonea a ledere l’interesse tutelato dalla genuinità del documento, cioè che non abbia la capacità di conseguire uno scopo antigiuridico.

Emblematico ed esemplificativo per il tema in oggetto è, a tutt’oggi, un antico brocardo latino che afferma:

Falsitas non punitur quae non solum non nocuit, sed nec erat apta nocere.

Tradotto in italiano il brocardo stabilisce che:

“La falsificazione non è punita non solo se non ha causato danno, ma neppure se non era idonea a nuocere”.

In estrema sintesi, il brocardo mette in rilievo il principio di offensività nel diritto penale dove, perché si abbia una condotta punibile, è necessario che la stessa leda o quantomeno esponga a pericolo la realtà giuridica alla cui tutela è preordinata la norma incriminatrice.

La condotta criminosa, costituita dalla falsa attestazione, è scindibile in due momenti: l’attestazione del fatto non vero e l’occultamento di quello vero.

Orbene, la condotta incriminata dalla fattispecie penale incriminatrice in commento incide su un comune oggetto materiale: il documento che deve possedere i requisiti giuridici dell’atto pubblico.

Infatti, tale è ogni scritto, anche recepito in un programma informatico, del quale sia riconoscibile l’autore che in esso si palesa, contenente dichiarazioni di scienza (esposizioni di dati o fatti) o di volontà.

Pertanto, l’elemento materiale del reato previsto e punito dall’articolo 479 c.p. deve essere necessariamente rappresentato soltanto da un atto pubblico[3]di contenuto narrativo sia in forma cartacea che informatica, destinato ad attestare la verità di fatti accaduti in presenza[4] del pubblico ufficiale o da lui medesimo posti in essere.

Alla luce delle ultime sentenze della Suprema Corte rientrano, pienamente, nella nozione di atto pubblico rilevante ai fini dell’integrazione del reato in esame anche gli atti cosiddetti interni, ovvero quelli che sono destinati ad inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione. Inoltre, sempre in riferimento alle ultime pronunce giurisprudenziali della Cassazione Penale, rientrano nella nozione di atto pubblico anche tutti quegli atti che si collocano nel contesto di una complessa sequela procedimentale (conforme o meno allo schema tipico) e che si pongono come necessario presupposto di momenti procedurali successivi.

Ai fini della tutela penalistica, pertanto, documento è ogni scrittura sopra un mezzo idoneo, dovuta ad un autore determinato, atto a suffragare una pretesa giuridica o a provare un fatto giuridicamente rilevante.

In tema di reato di falso, anche la pura e semplice autenticazione della firma da parte del notaio il quale attesti che la sottoscrizione è veridica perché apposta in sua presenza da persone comunque identificate, è atto pubblico. (Cassazione penale, sezione V, sentenza 25 settembre 1986, n. 9825).

L’elemento oggettivo del reato in esame consiste in una condotta che può ben essere sia attiva che omissiva; in quest’ultimo caso il pubblico ufficiale omette ovvero tiene nascoste alcune o tutte le dichiarazioni da lui ricevute.

Per ciò che concerne la struttura del delitto in esame osservo che è a fattispecie multipla ed a condotta tipica. In sintesi, esso richiede una discordanza fra la realtà oggettiva ed il contenuto dell’atto.

È indifferente che la falsità sia totale o parziale e che si riferisca all’intero atto oppure ad una parte di esso (ad esempio: luogo, data, etc..).

In particolare, lo scrivente ritiene sicuramente sussistente la falsità ideologica in atto pubblico anche allorquando il pubblico ufficiale abbia taciuto qualche dato la cui omissione, non ultronea nell’economia dell’atto, abbia prodotto il risultato di una dichiarazione incompleta e comunque contraria, anche solo parzialmente, al vero.

Indispensabile è, tuttavia, perché possa configurarsi il falso ideologico in tutte le ipotizzate modalità di realizzazione, che l’immutatio veri (falsificazione) inerisca a “fatti” dei quali l’atto è destinato a provare la verità.

Osservo, inoltre, che “fatto” è tutto ciò che rientra nella diretta percezione sensoria del pubblico ufficiale ed è passibile di prova storica in senso stretto mediante la sua attestazione.

Si possono elencare quattro ipotesi che sono tutte riconducibili alla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 479 c.p. Nella prima ipotesi viene in evidenza la condotta del pubblico ufficiale che attesta falsamente che un atto è stato da lui compiuto o avvenuto in sua presenza.

Nella seconda ipotesi, invece, rileva la falsa attestazione di dichiarazioni non ricevute, a prescindere dal carattere veridico o meno delle dichiarazioni. Si pensi al caso in cui un ufficiale di polizia giudiziaria che, nel redigere un verbale di interrogatorio, aggiunga alcune dichiarazioni non rese dall’interrogato.

Infine, le altre due ipotesi concernono l’alterazione o l’omissione (in presenza di un obbligo di riproduzione nell’atto pubblico) di dichiarazioni ricevute e la falsa attestazione di fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità.

In estrema sintesi il reato de quo deve ritenersi pienamente sussistente ogni qual volta il pubblico ufficiale, nel documentare l’attività valutativa di cui è incaricato, dichiara di avere assunto dati diversi da quelli realmente acquisiti ovvero afferma di avere utilizzato elementi in realtà inesistenti, tanto da realizzare, di conseguenza, una falsa attestazione.

Il tentativo di falsità ideologica in atto pubblico, a mio parere, non è configurabile, poiché è un reato di pericolo. Infatti, a sostegno della mia tesi, il processo esecutivo nel reato di falso postula già l’esistenza di un atto pubblico e si realizza contestualmente o posteriormente alla sua formazione.

Inoltre, anche un soggetto privato può commettere il reato di cui all’articolo 479 c.p. (falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici) solo quale concorrente[5] del pubblico ufficiale ex art. 117 c.p., ovvero inducendolo in errore, ex art. 48 c.p.

Quest’ultima ipotesi si ha solamente ove le false dichiarazioni del privato siano integrate da un’attestazione del pubblico ufficiale sulla loro intrinseca rispondenza al vero.

Proprio su quest’ultimo aspetto, profilo dell’istituto giuridico preso in esame soffermo la mia attenzione riportando una significativa sentenza della Suprema Corte.

La decisione della Corte di Cassazione Penale, Sezione V, 19 settembre 1992, n. 9537 s’inquadra nella corrente giurisprudenziale che ravvisa il reato di falso ideologico in atto pubblico, a norma degli artt. 48 e 479 c.p., quando il privato abbia tratto in errore il pubblico ufficiale mediante l’uso ingannevole di atti non veridici.

Pertanto, è stato accertato dai giudici di legittimità il reato di falsità ideologica in atto pubblico indotta ex artt. 48 e 479 c.p. nel seguente caso.

Per prima cosa l’immatricolazione di un veicolo ad opera della Direzione Provinciale della Motorizzazione Civile è disposta in presenza di predeterminati presupposti, tra i quali quello della idoneità alla circolazione del veicolo stesso; l’accertamento di tale presupposto avviene mediante la verificazione della dichiarazione di conformità del veicolo da immatricolarsi al tipo omologato a seguito dell’esame effettuato da parte del Ministero dei trasporti; il costruttore rilascia a tal fine all’acquirente una formale dichiarazione di conformità da produrre a corredo della richiesta di immatricolazione.

Nel caso di specie, si era presentato un’ingannevole certificato di conformità, non autentico, tanto da riverberarsi sul provvedimento di abilitazione alla circolazione del motoveicolo. In sintesi, era stato, pertanto, attestato sul motoveicolo come esistente un presupposto privo viceversa di qualsiasi valore giuridico in quanto materialmente falso.

Tutto ciò, si risolveva in una falsità ideologica del provvedimento stesso che lo supponeva come valido ed indispensabile antecedente logico – giuridico.

Tanto premesso, secondo il Supremo Collegio, l’immatricolazione così ottenuta, con induzione in errore del funzionario della Motorizzazione Civile, pubblico ufficiale, configurava l’ipotesi delittuosa di falsità ideologica in atto pubblico indotta ex artt. 48 e 479 c.p. e, di conseguenza, secondo gli ermellini, l’autore mediato che ha indotto in errore il pubblico ufficiale deve rispondere della falsità indotta non solo nel caso di falsità ideologica, ma anche nella ipotesi di falsità materiale del certificato di conformità.

Infatti, anche se il veicolo immatricolato presentava i richiesti requisiti di conformità al tipo omologato, ugualmente il provvedimento di immatricolazione non poteva essere emesso.

Più in particolare, nel caso de quo, era stato accertato che un cospicuo numero di motoveicoli, già immatricolati in altri paesi dell’Unione Europea, di importazione extra-europea, erano stati immatricolati al Pubblico Registro Automobilistico sulla base di falsi certificati di conformità.

Il sopraccitato caso giuridico preso in esame è molto interessante e utile per definire e spiegare, su di un terreno pratico e non solo teorico, l’ipotesi delittuosa di falsità ideologica in atto pubblico cd. indotta ex artt. 48 e 479 c.p. (Corte di Cassazione Penale, Sezione V, 19 settembre 1992, n. 9537)

Ancora su quest’ultimo punto, ai fini di una migliore chiarezza espositiva dell’argomento, lo scrivente ritiene importante riportare un’altra significativa sentenza degli ermellini che ha enucleato il seguente principio di diritto: “E’ configurabile il reato di falso ideologico per induzione (art. 48 e 479 codice penale) nella condotta di colui che, mediante falsificazione delle cartoline di ricevimento degli atti di citazione – i quali apparivano, pertanto, debitamente notificati ai convenuti mentre, in realtà, le notifiche non avevano avuto esecuzione – , induca il giudice a pronunciare la dichiarazione di contumacia” (Cassazione Penale, Sezione I, Sentenza 7 febbraio 2003 n. 6274).

In sintesi, la falsità per induzione risultante dalla combinazione degli artt. 48 e 479 c.p. postula sempre che un soggetto indotto in errore da altri formi una falsa rappresentazione documentale dei fatti, integrando il profilo di un delitto di falso ideologico di cui non risponde per la mancanza di dolo.

Infatti, il reato viene sempre addebitato direttamente al responsabile dell’inganno ossia all’autore mediato. Però, è necessario che l’atto pubblico conseguente all’inganno includa un’attestazione falsa, distinta dall’eventuale falsa dichirazione dell’autore dell’inganno.

Pertanto, sulla base delle predette considerazioni e riflessioni, osservo che è fondamentale per il giurista confrontarsi e risolvere le problematiche che possono sorgere in riferimento al cd. falso ideologico per induzione, di cui al combinato disposto degli artt. 48 e 479 codice penale.

Resta ora da analizzare il regime delle circostanze applicabili, eventualmente, alla fattispecie incriminatrice presa in esame.

Al reato di cui all’articolo 479 c.p. non è applicabile la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, poiché si tratta di un reato che, a differenza delle altre falsità documentali le quali offendono, sia pure in via secondaria, anche un’interesse patrimoniale, offende esclusivamente la fede pubblica.

Quanto alla circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p. ritengo che essa è applicabile al delitto in oggetto soltanto se ricorre la seconda delle due ipotesi ivi previste, e cioè se il soggetto si sia adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato di natura non patrimoniale.

In riferimento al rapporto con altri reati, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che: integra solo la condotta di falso ideologico in atto pubblico (art. 479 c.p.) e non anche quella di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.), la condotta del pubblico ufficiale che, in qualità di vigile urbano (agente di polizia locale) compili, in distinte occasioni, verbali di contravvenzione, contenenti attestazioni ideologicamente false, in quanto il carattere sussidiario e residuale del reato di abuso d’ufficio – desumibile dalla esplicita riserva “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”, contenuta anche nella nuova formulazione dell’art. 323 c.p., dovuta alla L. n. 234 del 1997 – implica che, qualora la condotta addebitata si esaurisca nella commissione di un fatto qualificabile come falso ideologico in atto pubblico, solo di tale reato l’agente deve rispondere e non anche dell’abuso d’ufficio, da considerare assorbito nell’altro, a nulla rilevando , in contrario, la diversità dei beni giuridici protetti dalle due norme incriminatici. (Cassazione Penale, Sezione V, sentenza 9 novembre 2005).

Nel corso di questa trattazione lo scrivente ritiene utile e molto significativo delineare i contorni, le differenze ed i confini che intercorrono fra due criminose, di cui una relativa all’art. 479 c.p. che è oggetto del presente elaborato e l’altra, invece, di cui all’art. 480 c.p.

(Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati o in autorizzazioni amministrative).

Orbene, gli ambiti e differenze giuridiche che intercorrono fra i due sopraccitati delitti sono stati in maniera eccellente chiariti ed enucleati da una sentenza della Suprema Corte che ha stabilito quanto segue:

“Con le norme di cui agli artt. 479 e 480 codice penale relative, rispettivamente, al delitto di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e al delitto di falsità ideologica commessa dal medesimo in certificati o autorizzazioni amministrative, il legislatore ha determinato una gradualità nell’affidabilità della dichiarazione del pubblico ufficiale.

Questi, secondo l’art. 479 codice penale (Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici), è autore o spettatore di una specifica attività, mentre invece, secondo l’art. 480 codice penale esaurisce la sua condotta delittuosa nell’attestare falsamente un fatto, di cui l’atto è destinato a provare la verità, senza privilegiare in alcun modo la dichiarazione con l’affermazione che il fatto è avvenuto in sua presenza. (Cassazione Penale, sezione III, sentenza 14 ottobre 1986, n. 10892).

Inoltre, ancora in riferimento al rapporto con altri reati, gli ermellini hanno affermato quanto segue:

“La fattispecie criminosa di cui all’art. 100 del Testo unico delle leggi elettorali n. 361 del 1957 (formazione di liste false di elettori o candidati e di altri atti destinati alle operazioni elettorali) si pone, a ragione dell’enunciata caratteristica dell’atto oggetto del falso, in rapporto di specialità con le fattispecie di relative alla falsità previste nel codice penale; non è pertanto ammissibile alcun concorso formale tra detto reato ed il reato di falso ideologico ex art. 479 c.p. in relazione alla condotta di un cancelliere che abbia falsamente attestato l’autenticità delle firme degli elettori nella presentazione della lista dei candidati, in quanto tale falsa autenticazione comporta la falsità della lista elettorale, punita dal citato art. 100 del Testo unico in materia elettorale.

(Cassazione Penale, Sezione V, sentenza 13 gennaio 2004 – 29 marzo 2004, n. 15001).

Infine, con particolare riferimento al concorso di persone in materia di falso ideologico in atto pubblico, anche quando l’atto sia proprio del solo pubblico ufficiale, della falsa attestazione rispondono a titolo di concorso coloro che abbiano agito per il medesimo fine, sia intervenendo all’atto sia inducendo e fomentando il pubblico ufficiale o rafforzandone l’intento delittuoso.

In ultima analisi, mediante la norma che punisce il falso ideologico in atto pubblico non viene protetto l’affidamento dell’immediato destinatario di tale atto, che può anche essere a conoscenza della falsità o concorrere nella sua commissione. Infatti, trattandosi di reato contro la fede pubblica, l’interesse protetto è la fiducia che la generalità dei consociati ripone negli atti pubblici e, per quanto in particolare riguarda il falso ideologico, la garanzia di veridicità degli atti stessi. Recentemente, la Suprema Corte ha fatto ancora più chiarezza riguardo al bene – interesse giuridico protetto dall’art. 479 c.p. affermando, altresì, che:

“Nel falso ideologico in atto pubblico il bene tutelato è quello dell’affidamento nella corrispondenza al vero della informazione che l’atto contiene, secondo il significato comunemente dato alle espressioni utilizzate in quel determinato contesto”

(Cassazione penale, sezione I, sentenza 14 ottobre 2011, n. 37081).

Note

[1] L’atto deve essere compiuto dal pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni e quindi nell’ambito della propria competenza funzionale, ma il reato di falsità sussiste anche se il pubblico ufficiale ha soltanto il potere di collaborare in qualche modo alla formazione dell’atto con un’attività autonoma. (Cassazione Penale, sezione V, 13 gennaio 1978 – 13 aprile 1978, n. 4324).

[2] Ai fini della configurabilità del reato di falso ideologico (art. 479 c.p.) è sufficiente il dolo generico che si concreta nella volontarietà della dichiarazione falsa, con la consapevolezza del suo carattere inveritiero; sono, pertanto, irrilevanti le ragioni che hanno determinato l’agente ad operare l’attestazione e, quindi, qualsivoglia accertamento in ordine alla sua volontà di favorire sé o altri. (Nella fattispecie l’imputato, in qualità di segretario comunale, aveva falsamente attestato in concorso con il sindaco e altri assessori, in alcune delibere di giunta, che date fatture riguardavano forniture regolarmente effettuate, le quali, invece, non potevano essere liquidate, in quanto non vi era alcun provvedimento formale dell’amministrazione comunale) Cassazione Penale, Sezione V, sentenza 24 gennaio 2005).

[3] I cartellini marcatempo ed i fogli di presenza dei pubblici dipendenti non sono atti pubblici, essendo destinati ad attestare da parte del pubblico dipendente solo una circostanza materiale che afferisce al rapporto di lavoro tra lui e la pubblica amministrazione (oggi soggetto a disciplina privatistica), ed in ciò esauriscono in via immediata i loro effetti, non involgendo affatto manifestazioni dichiarative, attestative o di volontà riferibili alla pubblica amministrazione. Ove, peraltro, tali attestazioni del pubblico dipendente siano utilizzate, recepite, in atti della pubblica amministrazione a loro volta attestativi, dichiarativi o di volontà della stessa, tanto può dar luogo ad ipotesi di falso per induzione, ai sensi dell’art. 48 c.p. Cassazione Penale, Sezioni Unite, 10 maggio 2006, n. 15893.

[4] Integra il delitto di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico (art. 479 c.p.) la condotta del notaio che provveda ad autenticare sottoscrizioni non apposte in sua presenza relative alla dichiarazione di vendita di un veicolo. Cassazione Penale, sezione V, 11 aprile 2006, n. 12693.

[5] Concorre nel delitto di falso ideologico in atto pubblico, proprio del pubblico ufficiale, anche il privato che abbia agito per il medesimo fine, sia intervenendo all’atto, sia istigando il pubblico ufficiale o rafforzandone il proposito delittuoso (Cassazione Penale, sezione I, sentenza 20 gennaio 2004 – 17 maggio 2004, n. 23176).

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