Cresce il “lavoro povero”. Ed i neomeloniani cantano felici

di Augusto Grandi

 

Le truppe neomeloniane nei TG sono tornate ad esultare dopo la doccia ghiacciata per il calo del PIL italiano: l’occupazione è aumentata! Ovviamente, da bravi saltatori sul carro del vincitore, i giornalisti della corte di lady Garbatella si sono ben guardati dal farsi un paio di domande sull’apparente incongruenza dei due dati. Meglio così, perché in caso contrario avrebbero scoperto che la crescita degli occupati a fronte di un calo del PIL rappresenta un aspetto negativo in prospettiva.

Perché significa, semplicemente, che cresce il “lavoro povero”, come lo definiscono i filo governativi. Gli altri lo chiamano, semplicemente, sfruttamento. D’altronde anche le indicazioni relative al PIL confermano questo andamento. Calano industria ed agricoltura, crescono di poco i servizi. Dunque la nuova occupazione è composta da addetti alle pulizie, da badanti, da personale non qualificato. Da disperati che accettano contratti con paghe estremamente basse. Lavori indispensabili, come ben sanno tutti coloro che sono alla disperata ricerca di un assistente per genitori anziani. Ma attività che non sono legate allo sviluppo del Paese (perché anche nei servizi ci sono professioni fondamentali per la crescita, ma devono essere retribuite decentemente e fanno aumentare il Pil).

E poi gli addetti al turismo, ma per le mansioni meno pagate. Altri disperati che, finita la stagione, si ritroveranno senza lavoro e senza risparmi poiché le retribuzioni sono troppo basse per consentire di mettere qualcosa da parte.

Mancano strategie. Manca una politica economica che vada al di là del contingente e dell’emergenza. Manca la voglia di investire. Non a caso gli industriali torinesi hanno protestato con l’ISTAT perché si aspettavano una crescita dell’inflazione di poco superiore al 4% e su quella base avevano firmato i contratti di lavoro. Ma l’inflazione ufficiale è superiore al 6% e devono pagare di più i dipendenti. Fingendo di ignorare che il carrello della spesa è aumentato di oltre il 10% e, di conseguenza, il potere d’acquisto dei lavoratori è drasticamente ridotto.

Se ne accorgeranno, gli industriali, quando il calo dei consumi ridurrà le vendite. Anche perché l’export delle aziende italiane non è cresciuto. Grazie ai rincari dei prezzi delle materie prime come conseguenza delle sciagurate “posture” meloniane in politica estera.

 
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