Sera d’autunno

di Andrea Marcigliano

 

Questa strana estratte è finita. Per lo meno qui, a mezza montagna. E la definisco strana perché è stata un’estate molto… alterna. Alcune ondate di calore (si dice così, no?) alternate a momenti di vero e proprio freddo. Ricordo che una mattina, ad inizio agosto, avevamo solo nove gradi. E le montagne, tutto intorno, scintillavano per una spruzzata di neve.

Comunque la fola dell’estate più calda di sempre, dal paleolitico in poi, è stata vanificata dalla realtà. Con grande disdoro degli allarmisti climatici. Quelli che speculano, generando panico. E quelli che credono ad ogni nuova paura venga loro… inoculata. Gli ipocondriaci mediatici.

Comunque, ora è proprio finita. Anche se leggo che, lontano da qui, fa ancora caldo. E molto. Normale anche questo. Ricordo che in Calabria si poteva fare il bagno sino ai Morti.

Ma nessuna estate dura per sempre.

Ormai l’equinozio è imminente. E si annuncia con la pioggia che, questa sera, cade fitta. Monotona e uguale, da più di due ore.

Mi piace ascoltare la pioggia. Distende i nervi. Dilava ogni pensiero. Ogni tensione. Starsene seduti in casa, fumando lentamente la pipa… un trinciato abbastanza forte. Una vecchia Jantet francese. Dritta, classica, con un grande camino. Una di quelle che vengono, comunemente, chiamata Maigret, dal personaggio del Commissario, inventato da Simenon.

L’equinozio è tante cose. Miti, tradizioni, gesti rituali… per me, però, è soprattutto sapori. E profumi. Già mi pare di avvertire quelli delle prime caldarroste. Che mi riportano a quando, agli angoli delle piazze, venivano preparate dai caldarrostai, su grandi padelle di ferro forate. E fumavano, e scoppiettavano. Poi in un cono di carta gialla, bollenti ancora… quasi ti ustionavano le dita.

E le patate dolci, quelle americane. Che, ad onor del vero si chiamano batate. Con la b. Il vino novo. In tazza o bicchiere. Tradizione contadina, ben antecedente la moda del “Novello” su imitazione del francese Beaujolais…

E la zucca. In risotto. Meglio ancora, come farcia dei cappellacci. Favolosi. Ne ho un ricordo stupendo. E abbastanza recente. Ma, probabilmente, a renderli ancora più buoni, indimenticabili, era la… compagnia. Gli occhi davanti a me…

E, intanto, continua a piovere. E il suono del gocciolare sulle grondaie diventa una sorta di nenia. Un canto che mi culla in un mezzo sopore. Che mi accompagna verso la nuova stagione.
L’Autunno, per molti, rappresenta la morte. Le foglie che cadono. Le notti che si allungano. La luce che diventa sempre più rarefatta.

È una sensazione abbastanza diffusa. Comune. E non priva di un fondo di realtà.

Vi è tanta bellezza che, per poco, il cuore non si spaura. Per rubare ancora una volta a Leopardi.

E l’aria che si fa, di giorno in giorno, più fresca, umida, infine fredda, ti fa apprezzare un altro tipo di calore. Quello degli abiti di stagione. Della casa. Del fuoco. Un calore che non ti dà fastidio, che non ti fa sudare. Che ti avvolge. E, in certo qual modo, ti protegge.

Ed è il calore degli affetti. Quelli autentici e forti. Che non finiscono con l’estate. Perdurano, si rafforzano. Capaci di superare ogni intemperia. Di andare oltre l’inverno che, presto, più presto di quanti immaginiamo, sarà intorno a noi.

Piove.

Buon equinozio a tutti.

 
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