Politiche di esternalizzazione dei confini: un valido metodo di gestione dei flussi migratori?

La maggior parte dei paesi del nord del mondo si trova a dover gestire l’arrivo di migranti, persone che lasciano il proprio paese di origine per necessità o in cerca di condizioni migliori. Spesso i governi per tentare di gestire questo fenomeno scelgono di ricorrere all’utilizzo di politiche di esternalizzazione dei confini. Cosa sono simili operazioni? L’esternalizzazione sortisce gli effetti sperati? Perché i governi scelgono di gestire così il fenomeno migratorio? 

 

Cosa sono le politiche di esternalizzazione 

Ogni stato ha la completa sovranità sul proprio territorio, e questo include anche il controllo dei confini che lo delimitano; l’arrivo di migranti è quindi amministrato a discrezione degli apparati dello stato come il ministero degli interni o enti specifici. Le politiche migratorie sono tuttavia regolamentate anche dal diritto internazionale attraverso Convenzioni e Trattati che, per esempio, vietano i respingimenti sommari o che uno stato possa limitare la possibilità di richiedere asilo ai non-cittadini, qualsiasi mezzo loro utilizzino per arrivare sul territorio. 

Alcuni governi cercano quindi strategie per tenere insieme la volontà di limitare, nella pratica, il numero di arrivi e di richieste di asilo con il rispetto delle norme internazionali. Le possibilità sono molteplici, una di queste è esternalizzare i confini grazie alla cooperazione con uno stato terzo. 

Il concetto di esternalizzazione dei confini è stato sviluppato e studiato all’interno dei canoni teorici di discipline come “border criminology” o “migration studies” nel ventunesimo secolo. Si tratta di una specifica tattica facente parte delle politiche di espansione dei confini messe in atto dai paesi che abitualmente ricevono migranti, i cosiddetti paesi receiving

Uno stato esternalizza quando sposta il controllo dei confini verso l’esterno, delegando quindi ad un altro stato- solitamente uno stato transit o sending– una parte della gestione dei flussi migratori in arrivo verso il proprio territorio. Simili politiche partono pertanto da relazioni bilaterali tra due stati limitrofi o confinanti che stringono una relazione di cooperazione, generalmente legalizzata attraverso lo strumento diplomatico del Memorandum of Understanding.

I Memorandum si basano, generalmente su un semplice schema: lo stato transit o sending si impegna a bloccare, limitare o comunque fare da filtro al passaggio o alla partenza dei migranti verso il territorio dello stato receiving; in cambio di queste operazioni riceve aiuti economici, assistenza tecnica e supporto tecnologico. È importante sottolineare come tale cooperazione, sebbene arrechi vantaggio ad entrambi gli stati, possa risultare poco equilibrata in termini di potere. 

Esternalizzazione in pratica

Negli ultimi mesi lo scenario internazionale ha mostrato diversi esempi di governi che hanno scelto politiche di esternalizzazione come metodo di gestione dei confini del proprio paese. L’esempio più recente è l’accordo finalizzato tra Tunisia e Commissione Europea, mediato e sponsorizzato dal governo italiano. Sebbene il Memorandum siglato a metà luglio non fornisca dettagli precisi sui termini dello scambio, è chiaro che il pilastro fondamentale sia proprio quello della gestione dei flussi migratori. La Commissione ha richiesto un maggiore dispiego di forze al governo tunisino per fare in modo da diminuire le partenze dalle proprie coste.

Lo stabilirsi di questa nuova partnership non ha sortito grande stupore: non è infatti la prima volta che i confini europei subiscono una espansione verso l’esterno grazie ad accordi con i paesi africani che affacciano sul Mediterraneo. Solo l’anno scorso il governo italiano ha rinnovato, per una durata di ulteriori tre anni, il Memorandum of Understanding firmato nel 2017 dal presidente del Consiglio Gentiloni e da quello del consiglio presidenziale libico, Serraj. I confini europei non hanno visto un’espansione solo verso il sud, ma anche verso ovest; a seguito della cosiddetta “crisi dei rifugiati”, a marzo 2016 l’UE siglò un accordo con la Turchia al fine di limitare le partenze dirette in Grecia e nelle Isole Egee. 

L’esternalizzazione dei confini non è tuttavia un fenomeno solo europeo, l’Australia per esempio adotta politiche di questo tipo da più di vent’anni. A seguito della “Pacific Solution” il governo dell’isola ha siglato accordi con l’isola-stato di Nauru e con la Papua Nuova Guinea. Questi ultimi stabiliscono che qualsiasi persona che cerchi di raggiungere le coste australiane, attraverso canali non ufficiali, sarà trasferita sul territorio degli stati terzi in attesa dell’accettazione della richiesta di asilo o in attesa del rimpatrio “volontario”.  

Nel 2023 si è parlato di esternalizzazione dei confini anche a seguito delle dichiarazioni del governo Sunak riguardo ad un accordo con il governo del Rwanda che avrebbe previsto il trasferimento nel paese africano delle persone richiedono asilo nel Regno Unito. In questo caso non c’è neanche un rapporto di vicinanza geografica tra il paese che esternalizza e il paese terzo, si nota quindi come il punto fondamentale delle politiche di esternalizzazione non sia l’eventuale espansione dei confini, ma la delega della gestione dell’immigrazione. 

Aspetti problematici 

Nonostante siano spesso salutate come soluzioni agli aumenti degli arrivi nei paesi occidentali, le politiche di esternalizzazione non hanno dimostrato di essere davvero un’arma vincente per la gestione dei confini e delle persone che li attraversano. Nel breve termine ci può essere un’effettiva diminuzione nel numero di arrivi nel paese receiving, dovuta alle attività di contenimento del paese partner. Tuttavia, nel lungo termine si può notare come il fenomeno migratorio non sia facile da domare, in quanto, come già accaduto, i migranti trovano nuovi modi per raggiungere la meta desiderata, si creano nuove rotte o semplicemente si affidano a coloro che sanno come eludere i controlli, i cosiddetti trafficanti.

Alcuni aspetti delle strategie di esternalizzazione pongono inoltre problemi a livello di diritto internazionale: la Convenzione di Ginevra e il suo protocollo integrativo prevedono il dovere per ogni stato di prendere in considerazione qualsiasi richiesta di asilo e l’obbligo di non porre limiti alla possibilità di effettuare tale richiesta. Bloccare i potenziali richiedenti asilo prima che possano arrivare sul territorio equivale ad aggirare gli obblighi internazionali. 

Un ulteriore aspetto che non rende l’esternalizzazione un metodo valido per la gestione dei confini e dei flussi migratori è il loro costo. L’accordo con la Tunisia ad esempio prevede aiuti finanziari al paese nordafricano che ammontano a più di un miliardo di euro, mentre il governo italiano ha trasferito alla Libia quasi 30 milioni di euro tra il 2017 e il 2020. L’Australia, solo per il centro di detenzione sull’isola di Nauru, ha pagato ogni anno al governo dell’isola tra i 300 e i 500 milioni di dollari. Anche il piano del governo britannico, se fosse messo in pratica, prevederebbe dei costi stimati molto superiori rispetto a quelli normalmente stanziati per gestire i migranti sullo stesso territorio nazionale. 

Tenendo conto, quindi, degli aspetti problematici delle politiche di esternalizzazione, non è risolutivo per i governi occidentali – che si trovano a dover gestire i flussi migratori in arrivo verso i propri territori – fare affidamento esclusivamente su strategie di questo tipo. 

 

di Giulia Marseglia

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