Perché il carabiniere Cerciello non impugnava la pistola

Il vice brigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega era impegnato in un’operazione in borghese, una delle più pericolose perché, spiega chi le fa, la reazione può arrivare, imprevedibile, in qualunque momento. Ma il vice brigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega ucciso a Roma durante un’operazione in borghese non poteva intervenire tenendo in mano o comunque in evidenza l’arma di ordinanza? E’ la domanda, all’apparenza scontata, ma che tanto scontata invece non è, che ci si pone di fronte a quanto accaduto. La risposta è una: armi in pugno a seconda dei casi. E’ questa la formula ricorrente, la prassi. E’ previsto che le forze dell’ordine agiscano armi in pugno quando si tratta di operazioni programmate: per esempio nell’antiterrorismo, nell’irruzione in covi, nella liberazione di ostaggi, nella cattura di latitanti o ricercati già sotto osservazione e che si pensa abbiano la disponibilità immediata di armi. In quel caso gli operatori agiscono avendo già a portata di mano pistola o mitraglietta M12 o altre armi in dotazione ai reparti speciali tanto dell’Arma dei carabinieri quanto della Polizia di Stato o della Guardia di finanza. Anche in occasione di posti di blocco e controllo del territorio è previsto che uno degli operatori sia a distanza di sicurezza e tenendo pronto l’M12, mentre il suo collega avvicina il conducente di un veicolo o la persona fermata per effettuare quindi il controllo dei documenti. C’è tutto un addestramento perché queste operazioni di routine vengano fatte in condizioni di sicurezza. In modo che chi si avvicina alla persona da controllare non sia mai nella linea di eventuale tiro del suo collega, ovvero quest’ultimo l’abbia sempre ben in vista e la tenga d’occhio, e quindi prevenire – il più possibile – una sua eventuale reazione armata. Nel caso invece della notte tra il 25 e il 26 luglio si trattava di un’operazione di servizio in borghese, perché non si voleva destare alcun sospetto nelle persone ritenute responsabili del furto del borsello e della successiva estorsione per restituirlo: il cosiddetto ‘cavallo di ritorno’. I carabinieri per forza di cose dovevano essere in borghese e nelle immediate vicinanze non doveva esserci alcun militare in divisa o auto di servizio con la livrea dell’Arma perché questo avrebbe insospettito le persone da cogliere in flagranza di reato. Né tanto meno ci si poteva avvicinare mostrando di avere un’arma, sia che si trattasse di pistola che di mitraglietta: avrebbe significato farsi subito notare e quindi mandare a monte l’intervento. E’ prassi che si agisca così, viene fatto rilevare in ambienti delle forze dell’ordine, se si vuole tentare di portare a termine con successo un’operazione di contrasto al crimine operando in borghese. E’ una fase oggettivamente più pericolosa, perché la reazione può arrivare in qualunque momento ed è imprevedibile, e l’agente o il carabiniere è in una condizione di svantaggio, a differenza dell’altro che invece potrebbe già avere pronta all’uso un’arma da fuoco o un coltello. E purtroppo cosi’ e’ stato in questa circostanza, vanificando anche il tentativo di immediato intervento dell’altro carabiniere in difesa del proprio collega e rimasto contuso nella fase concitata seguita all’aggressione a coltellate e poi alla fuga dei due sospettati.

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