A chiedere un’ambulanza è stato il suo medico personale, che in quel momento non era con lui. Il report dell’infermiera costretta a mentire sui controlli
I soccorsi chiamati in ritardo da un medico che non era con Diego
Dubbi, sospetti, accuse dietro la morte di Diego Armando Maradona. Per ricostruire le ultime ore di vita del grande calciatore argentino, torniamo a mercoledì 25 novembre: sono da poco trascorse le 12, il mediodía a Buenos Aires. Nella villa di Tigre, sobborgo residenziale a 40 chilometri dalla capitale, arrivano la psichiatra Susana Cosachov e lo psicologo Carlos Díazologa, per la consueta seduta con el Pibe de Oro, reduce dall’operazione al cervello dello scorso 3 novembre. Secondo quanto ha dichiarato agli inquirenti argentini, in quel momento l’infermiera Dahiana Gisela Madrid aveva già bussato più volte alla porta, e chiamato a gran voce Maradona, senza ricevere risposta. Eppure, prima di entrare nella stanza e riscontrare di persona lo stato di salute del paziente, aveva aspettato l’arrivo dei due psicologi. A questo punto finalmente tasta il polso dell’ex calciatore e constata che non c’è battito. Sono le 12.10, trascorrono altri sei minuti, e alle 12.16 finalmente arriva la prima chiamata al 911, con la richiesta di un’ambulanza. Dall’altra parte del filo c’è Leopoldo Luque, il medico personale di Maradona, che in quel momento non era neppure a Tigre, ma Buenos Aires, a quasi un’ora di macchina dal suo paziente ormai già morto. Nella telefonata registrata dal servizio d’emergenza, e recentemente trasmessa da un emittente argentina, il dottore chiede un intervento urgente per un paziente di 60 anni in gravi difficoltà, senza nominare in alcun modo Maradona.
Maradona solo nella villa. E la bugia dell’infermiera
Maradona aveva quattro figli residenti a Buenos Aires, nove fratelli e un esercito di nipoti di primo grado. Eppure nella villa del country San Andrés dormiva da solo, a tre settimane da una grave operazione al cervello. Un infermiere ha vegliato su di lui per tutta la notte , restando però all’esterno della stanza. Alle 6.30, prima di smontare, ha controllato i parametri vitali del paziente, che apparivano regolari. Poi è subentrata Dahiana Gisela Madrid, la donna che lo ha assistito nelle ultime ore. L’agenzia di stampa argentina Telam, nel ricostruire le dichiarazioni rese dall’infermiera, ha riferito di una sua clamorosa ammissione: la donna afferma in una relazione di servizio di aver «sentito muoversi all’interno della stanza alle 7.30», ma di non essere entrata. Un controllo che invece afferma di aver fatto alle 9.30: «Controllati i segni vitali», annota nel report. Ma nella giornata di ieri, interrogata dal procuratore che indaga sul caso, ha ritrattato l’annotazione, affermando di non aver fatto alcun controllo prima delle 11.53. Sarebbe stata costretta a mentire dai suoi superiori.
Le accuse di ritardi smentite dal Pronto soccorso
Tra i primi a lanciare accuse sui soccorsi a Diego Armando Maradona, uno dei suoi avvocati, Matias Morla, che poche ore dopo la morte aveva già denunciato: «L’ambulanza ha tardato più di mezz’ora, non è una cosa che può passare sotto silenzio, bisogna indagare». La prima delle 12 ambulanze arrivate nella villa di Tigre dove si trovava Diego è giunta sul posto dopo 11 minuti. La conferma è arrivata dal confronto tra il registro delle chiamate arrivate al pronto soccorso dell’ospedale San Fernando e le immagini registrate dalle telecamere poste all’ingresso dell’abitazione di Maradona. Gli orari —riporta l’agenzia Telam —indicano una differenza temporale di 11 minuti.