Le foibe

Le foibeFino a qualche decennio fa, tra i massacri degli anni tragici della 2° guerra mondiale, per la Storia ufficiale c’era soltanto posto per l’olocausto degli ebrei, ora pare che abbia preso piede anche quello delle foibe: un piccolo olocausto, in questo caso di uomini e donne italiane.

Certo ancora altre mattanze fanno fatica ad essere riconosciute e pensiamo all’Holodomor ucraino, per settant’anni censurato, una carestia di massa pianificata a tavolino dai comunisti sovietici che in quattro anni dal 1929 al 1933 ha causato quasi 6 milioni di ucraini morti, tanti quanti furono gli ebrei eliminati da Hitler.

E come non ricordare “Le fosse di Katyn”, dove vennero trucidati a freddo migliaia di militari polacchi che si erano consegnati ai sovietici per sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi.

In pratica l’intera classe dirigente della futura Polonia è stata eliminata per ordine di Stalin.

A questo proposito sarebbe importante che qualcuno progettasse, come hanno fatto per l’olocausto ebraico, di far partire qualche “treno della memoria” per far visitare anche i luoghi di questi orrori.

Anzi, forse sarebbe meglio farlo partire dalla Stazione di Bologna, dove nel 1946 si è verificato un episodio di vera barbarie, protagonisti i ferrovieri comunisti che con tanto di bandiere rosse inveivano contro gli esuli istriani dalmati giuliani al grido di “fascisti”, di fatto impedendogli di scendere dal treno e quindi di essere aiutati dalle dame della carità venuti in loro soccorso.

Del resto per molto tempo i comunisti italiani erano convinti che dentro le foibe ci fossero soltanto fascisti che hanno meritato questa fine.

L’episodio di Bologna viene raccontato anche nel libro “Magazzino 18” di Simone Cristicchi appena uscito nelle librerie, che riporta la citazione dell’Unità del 30 novembre 1946, che considerava gli esuli degli “indesiderabili(…) criminali (…) che sfuggono al giusto castigo della giustizia popolare jugoslava e che si presentano qui da noi, in veste di vittime, essi che furono carnefici”.

Dunque le foibe entrano nel dizionario criminale. Il termine “foiba” deriva dal latino “fovea” e significa fossa, cava, buca.

Le foibe sono voragini rocciose, create dall’erosione violenta di molti corsi d’acqua; possono raggiungere anche 300 metri di profondità e si perdono in tanti cunicoli nelle viscere della terra. In Istria esistono 1.700 foibe.

Queste cavità venivano usate abitualmente come discariche, dove veniva gettato ciò che non serviva più, ma tra il 1943 e il 45 furono utilizzate per “infoibare” (spingere nella foiba) migliaia di istriani e triestini, ma anche slavi, antifascisti e fascisti, colpevoli di opporsi all’espansionismo comunista del maresciallo Tito.

I massacri degli italiani si sono svolti in due fasi, la prima nel 1943 subito dopo l’armistizio dell’8 settembre di Badoglio: in breve sia i militari italiani che i civili si trovarono in balia delle epurazioni, delle rappresaglie e delle vendette degli slavi partigiani comunisti.

I titini conquistarono rapidamente l’Istria senza essere contrastati da nessuno. Il 26 settembre a Pisino fu proclamata la separazione dell’Istria dall’Italia e il suo ricongiungimento alla madrepatria jugoslavia.

Furono abolite tutte le leggi politiche, economiche e sociali imposte dal regime fascista e soprattutto, scrive Arrigo Petacco, nel suo “Esodo”: “veniva stabilito che tutti gli italiani trasferiti in Istria dopo il 1918 sarebbero stati ‘restituiti all’Italia’ e che tutte le forzate italianizzazioni dei nomi e delle scritte avrebbero riassunto i vecchi nomi croati”.

A Pisino viene istituito un “Tribunale del popolo”, composto da tre contadini, presieduto da Ivan Motika, il “boia”, un avvocato di Zagabria.

Da questo momento, inizia la caccia al fascista, all’italiano, entra in azione la “ghepeù slava”.

E’ una stagione di terrore in cui gli uomini del nuovo potere si aggirano per i paesi armi in pugno, minacciano epurazioni e vendette e, soprattutto di notte penetrano nelle case prelevando uomini e donne sulla cui sorte nulla dicono.

Si tende ad eliminare la classe dirigente italiana di ogni attività, dal podestà all’ufficiale postale, dalla levatrice, all’insegnante, al carabiniere etc.

Nessuno sa quanti siano stati gli infoibati. Stime ricorrenti esprimono valutazioni da un minimo di cinquemila ad un massimo di oltre ventimila vittime.

In grande maggioranza sono italiani, ma gli storici scrivono che c’erano anche tedeschi, ustascia, cetnici e persino soldati neozelandesi dell’esercito britannico.

“In realtà, – scrive Petacco – il conto esatto non si potrà mai fare.

Nella foiba di Basovizza, presso Trieste furono ricuperati 500 metri cubi di resti umani e si calcolò brutalmente che le vittime dovevano essere 2.000: quattro per metro cubo”.

Naturalmente gli jugoslavi hanno sempre rifiutato ogni forma di collaborazione e comunque avevano già distrutto gli archivi.

Tra i tanti episodi di uccisioni di uomini e donne, abitualmente sui libri si ricorda quella di Norma Cossetto, una ragazza istriana di 23 anni, di Santa Domenica di Visinada, che ha subito un vero e proprio martirio dai suoi aguzzini.

Norma ormai simboleggia la bestiale ondata di violenza che si abbatté sugli italiani.

Dopo atroci sevizie e torture, i martiri spesso venivano evirati e denudati, condotti nei pressi della foiba, gli venivano legati i polsi e i piedi con filo di ferro e poi uniti gli uni agli altri sempre tramite fil di ferro.

I partigiani si divertivano a sparare al primo del gruppo che cadeva nella foiba trascinando tutti gli altri, tra l’altro così risparmiavano le pallottole.

Mentre nelle località costiere per eliminare gli italiani si preferiva utilizzare il metodo degli annegamenti collettivi.

“Legati l’uno all’altro col filo di ferro e opportunamente zavorrati con grosse pietre venivano portati al largo su grosse barche e gettati in mare”, in pratica quello che facevano già i rivoluzionari giacobini in Francia con i vandeani.
Si attua così un assassinio collettivo indiscriminato: una lotta senza pietà che usa il terrorismo per seminare il panico.

Ormai si conoscono quasi tutti i numerosi giudici-carnefici che si resero tristemente famosi in tutta l’Istria per la loro spietatezza.

Negli anni ’90 Il Secolo d’Italia, quotidiano di Alleanza Nazionale, aveva intrapreso una campagna di denuncia contro questi signori, i vari “Priebke jugoslavi”, alcuni tra l’altro percepivano la pensione da parte dello Stato italiano.

La prima fase dei massacri degli italiani si concluse con l’arrivo dei soldati tedeschi, che paradossalmente furono accolti come liberatori, forse non era accaduto in nessun’altra parte d’Europa, scrive Petacco.

L’Istria viene riconquistata, nasce la “Adriatisches Kustenland”, i tedeschi, soprattutto le SS operano una spietata controffensiva, naturalmente comportandosi come i comunisti titini.

A questo punto si rimescolano le carte, troviamo italiani che combattono a fianco dei tedeschi, altri italiani con i partigiani titini che operano prevalentemente con azioni di guerriglia.

E’ importante raccontare le varie posizioni politiche dei vari gruppi in guerra, in particolare il Pci di Togliatti che aveva scelto di combattere a fianco di Tito. Lo fanno bene Petacco, ma anche Pupo.

La seconda fase dei massacri degli italiani iniziò subito dopo la disfatta nazista, alla fine di aprile 1945.

“Enormi masse di uomini armati con le loro donne, i loro figli e le loro cose affardellate su muli e carriaggi, si erano messi in marcia dalle varie regioni della Jugoslavia puntando verso occidente”.

In questo clima le truppe di Tito si aprono la strada avventandosi con armi in pugno su uomini e donne che magari avevano collaborato con gli occupanti tedeschi. Inizia la pulizia etnica e quella politica.

Pensiamo che secondo testimonianze raccolte dallo storico Pier Arrigo Carnier, circa 75.000 croati furono uccisi nei dintorni di Maribor e sepolti in enormi fosse comuni.

O alla consegna dei britannici ai sovietici dei 60.000 cosacchi della Carnia, che al momento della consegna, preferirono suicidarsi collettivamente.

L’Italia subisce l’assalto degli eserciti di Tito, nella memoria di molti è rimasto quello dei cetnici del generale Draza Mihajlovic sulla città di Gorizia e poi i quaranta giorni di Trieste in mano alle “guardie del popolo” e alla polizia segreta OZNA di Tito che seminano il terrore.

E poi l’esodo dei 350 mila italiani che preferirono abbandonare le loro terre e le loro case, di questo ne dà ampio risalto il libro di Raul Pupo, “Il lungo esodo”.

Ma la rappresentazione teatrale “Magazzino 18” di Cristicchi, che vedremo lunedì in occasione della “Giornata del Ricordo”, sarà in grado di spiegare bene la tragedia che hanno subito tanti nostri connazionali.

10 febbraio 2014

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