Il Governo Meloni torna alla Legge Fornero: lavorare fino alla morte

Dal 2024, le pensioni in Italia subiranno cambiamenti significativi con il ritorno delle regole della legge Fornero.

Andare in pensione dal 2024 sarà più difficile per via del ritorno delle norme previste dalla legge Fornero, con conseguenti variazioni sull’età di pensionamento, requisiti contributivi e importi delle pensioni.

Qui di seguito vedremo quali sono le regole su come andare in pensione dal 2024. Analizzeremo come funzionano Quota 103, Opzione donna, Ape sociale. Anche coloro che optano per tali soluzioni devono rassegnarsi: l’uscita dal lavoro slitta al 2025 per via di paletti e finestre introdotti nella seconda manovra del governo Meloni.

Quando si va in pensione?

Le regole ordinarie per la pensione di vecchiaia richiedono due requisiti:

  • 67 anni di età;
  • 20 anni di contributi.

Quando si va in pensione anticipata?

Per la pensione anticipata fino al 31 dicembre 2026 sono invece necessari, a prescindere dall’età anagrafica:

  • 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini;
  • 41 anni e 10 mesi per le donne.

La stretta del governo Meloni si riversa nei canali flessibili di uscita anticipata che vengono sì prorogati di un anno, ma tutti penalizzati. Vediamoli.

Cos’è Quota 103 e come funziona?

Quota 103 consente di andare in pensione a 62 anni con 41 anni di contributi.

La novità maggiore è il ricalcolo contributivo dell’intero assegno pensionistico, che ridurrà l’importo dell’assegno rispetto alle Quote precedenti (Quota 100 e Quota 102), perché non terrà più conto del “sistema misto”: una parte dell’assegno retributiva (in base agli ultimi stipendi) e l’altra contributiva (in base ai contributi versati).

Inoltre, verrà introdotto un tetto massimo alla pensione, limitando l’importo fino al compimento dei 67 anni ossia il requisito ordinario della vecchiaia. Per cinque anni dunque la pensione sarà tagliata e il taglio non verrà recuperato.

Le nuove finestre applicate a Quota 103 sono più ampie e di fatto posticipano il pensionamento di quasi tutti i “quotisti” al 2025.

Per i dipendenti pubblici si passa da 6 a 9 mesi.

Per i dipendenti privati da 3 a 7 mesi. Di fatto, solo chi raggiunge i requisiti per Quota 103 tra gennaio e aprile del prossimo anno andrà in pensione nel 2024. Gli altri slittano tutti all’anno dopo.

Chi ha i requisiti per Quota 103 può scegliere di restare al lavoro con una retribuzione più alta del 9,19% al mese fino a cinque anni (dai 62 ai 67 anni di età), usufruendo del “bonus Maroni” e convogliando la parte dei contributi che versa all’Inps in busta paga. Ma avrà una pensione futura più bassa, perché avrà pagato meno contributi negli ultimi anni di lavoro.

Cos’è Ape sociale e come funziona?

Non si tratta di pensione, ma di “assegno ponte” assistenziale che traghetta i lavoratori più fragili come disoccupati, caregiver, invalidi, precoci, verso la pensione di vecchiaia a 67 anni.

L’età per accedervi è di 63 anni e 5 mesi.

L’importo è di 1.500 euro lordi mensili.

Non è più compatibile con i redditi da lavoro dipendente o autonomo. È consentita solo la cumulabilità con redditi da lavoro subordinato fino a 5 mila euro lordi annui. Le finestre rimangono tre (marzo, luglio, novembre). Ma è come fossero state allungate di 5 mesi, visto l’aumento dell’età anagrafica di accesso alla misura.

Cos’è Opzione donna e come funziona?

Anche qui vengono inaspriti i criteri di accesso, già resi talmente stringenti nella prima manovra del governo Meloni da rendere questo canale di pensionamento anticipato di fatto inutilizzabile dalle lavoratrici dipendenti e autonome.

Si passa dai 60 anni e 35 di contributi a 61 anni da avere al 31 dicembre 2023. Un anno in più. Sconti solo per mamme con un figlio (60 anni) e con due o più figli (59). L’assegno è da sempre tutto ricalcolato con il metodo contributivo: unico caso, finora, di penalizzazione di questo tipo esistente nel sistema previdenziale italiano.

Rimangono le categorie di donne che possono richiedere l’Opzione, introdotte l’anno scorso: caregiver, invalide almeno al 74%, licenziate da aziende con tavoli di crisi aperti al Mimit.

Pensione per chi ha iniziato a lavorare dal 1996

La stretta del governo Meloni si abbatte poi anche su chi ha cominciato a lavorare e versare contributi previdenziali dal primo gennaio 1996, i “contributivi puri”. Il vincolo per accedere alla pensione di vecchiaia viene abbassato da 1,5 volte l’assegno sociale a una volta: si può uscire a 67 anni con 503 euro di pensione anziché 755 euro.

Ma quello per la pensione anticipata contributiva a 64 anni e 20 di versamenti viene inasprito al punto da rendere questo canale accessibile solo per i lavoratori “ricchi”, con alti stipendi. Il requisito viene infatti alzato da 2,8 volte a 3 volte l’assegno sociale (da 1.408 a 1.509 euro di pensione potenziale). Si scende a 2,8 volte solo per donne con un figlio. E a 2,6 con due o più figli.

Viene poi introdotto anche qui un tetto all’importo erogabile di pensione, pari a cinque volte il minimo Inps (2.993 euro) fino ai 67 anni di età.

 

Raffaella Mari

Raffaella Mari

Laurea in Scienze politiche “cum laude” presso l’università della Calabria. Laurea in giurisprudenza presso l’università “Magna Graecia” di Catanzaro. Avvocato con esperienze lavorative nel campo del recupero crediti.

 

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