Giorgia Meloni e la trappola del risparmio italiano

di Ruggiero Capone

 

L’autunno è prossimo, e sarà contrassegnato dalle difficoltà economiche di Germania, Olanda e frugali di bordura. Un trend negativo per la locomotiva centro-nord europea che emerge dal calo dello 0,3% del Pil registrato in tutti i trimestri del 2023: ce lo dicono i dati dell’Istat tedesca, e la mazzata economica è arrivata dopo la contrazione dello 0,5% del 2022. Questo significa che, la combinazione delle tanto decantate misure europee si sono sommate alla crisi da guerra e pandemia, portando Germania e nordeuropei suoi sodali ad una depressione degna del 1929. Una depressione anche pilotata, dai soliti mercati, e sarà oggetto di ulteriori nostri approfondimenti. Per il momento partiamo dal dato che la gente d’Europa è alla fame, mentre i ricchi europei hanno raddoppiato i rispettivi patrimoni in meno di tre anni. Il ministro germanico dell’Economia, Robert Habeck, ha detto ai suoi cittadini di guardare il dito, cioè che la depressione sarebbe dovuta a calo demografico, mancanza di forza lavoro, inflazione e crisi energetica. Invece la crisi è tutta addebitabile alle politiche dell’Unione europea, che chiedono diminuzione dell’impiego del lavoro umano nei settori tradizionali, implemento di robotica e comunque d’intelligenza artificiale in tutti i campi, patrimoniali, chiusura delle attività agricole ed artigianali ritenute inquinanti, colpevolizzazione del risparmio individuale, controlli oppressivi su ogni attività umana. Così Bruxelles minimizza sui malori economici dei frugali, reputando riguardino la fascia di popolazione già etichettata a Davos come “inutile”.
Poi in Germania sono forti le tensioni interne al governo di Olaf Scholz, e perché Verdi e Liberali stanno litigando per la “legge sui termosifoni” e sulle tante normative Ue che incrementano quotidianamente la disoccupazione: così i colossi tedeschi investono sempre di più fuori dalla Germania, che ha anche imboccato la strada dell’uscita dal nucleare e vorrebbe seguaci in Europa. Ma può esistere una Germania in “povertà sostenibile”? Ovvero una intera Europa in povertà per salvare l’ambiente? Anche perché non è detto che bloccando l’economia ci possa essere un effetto benefico sul clima.
In questa situazione l’Italia di Giorgia Meloni si pone come spettatore, anche temendo l’economia del Belpaese possa prendere il posto di locomotiva che era della Germania. Perché un Italia che riscopra il proprio primato industriale, dimostrandosi capace di un Pil da anni ‘50/’60, non sarebbe gradita né a Bruxelles né a Francoforte, soprattutto metterebbe in discussione la classe dirigente dell’esecutivo: sappiamo bene che nessuna maggioranza degli ultimi anni sarebbe in grado di tenere testa ad un “boom economico” capace di trasformare l’Italia in locomotiva economica d’Europa. Piuttosto lavorano al contrario: ovvero subiamo governi in grado di bloccare ogni forma di lavoro con un saggio uso delle norme Ue.
E in troppi iniziano a vederci chiaro circa la “tassa sugli extraprofitti” a firma Meloni, una decisione presa dalla premier senza coinvolgere i vicepremier Tajani e Salvini. Poi ci sono le dichiarazioni di Giorgia Meloni: “è una iniziativa che ho voluto io: ho massimo rispetto del sistema bancario e non ho intenzione di colpire le banche”. La tassa messa dalla Meloni di fatto non colpisce i grandi gruppi bancari, soprattutto non ha alcun effetto sul salotto alto della “speculazione finanziaria” (Vanguard, BlackRock…), diminuisce unicamente i guadagni dei gruppi di prossimità, banche popolari e cooperative di credito. Infatti è risaputo come i grandi gruppi creino la moneta dal nulla in maniera elettronica e virtuale. Anzi sorge il dubbio che la manovra possa essere stata gradita ai poteri bancari europei, gli stessi che poi hanno tacciato la tassa d’abominio. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, ovvero che non è certo aumentata la propensione al credito individuale e d’impresa. Soprattutto questa tassa ha messo sotto osservazione l’Italia da parte di Ue e Bce: queste ultime ben vigili che l’Italia, smaniosa di lavorare, non tenti la volata a Germania e dintorni, soffiando al centro-nord Europa il podio di locomotiva economica d’Europa.
Qui entra in gioco la prossima manovra italiana da 25/30 miliardi, contenuta nell’imminente aggiornamento del Def: una quantità di denaro bastevole all’Ue per porre più d’un paletto alle speranze di crescita economica dell’Italia. E qui il premier italiano potrebbe varare il piano tanto gradito ai poteri europei, ovvero la manovra sdoganata nel 1992 dal governo Giuliano Amato, dal terribile nome “prelievo forzoso e retroattivo dai conti correnti”. All’epoca, circa trentun anni fa, ci fu alzata di scudi di gran parte della politica e dell’impresa. Oggi una simile tassazione, una sorta di falò del risparmio, troverebbe l’assenso del presidente della Repubblica, dei poteri bancari europei, dei vertici di Ue e Santa Sede. La scusa sarebbe che i conti non tornano, e la misura spegnerebbe anche la polemica sulla tassazione degli extraprofitti. Amato nel ’92 prelevava il sei per mille dai conti correnti. Oggi il governo potrebbe anche dimezzare i depositi dei privati, delle cosiddette “persone fisiche”, evitando “saggiamente” di toccare i conti societari (personalità giuridiche) per non ledere l’economia di società e multinazionali. Del resto se il governo colpisse i soldi delle imprese (soprattutto delle multinazionali) incorrerebbe in immediata procedura d’infrazione da parte di Bruxelles: ma questo Giorgia Meloni lo sa benissimo, e qualche malevolo potrebbe anche ipotizzare abbia pattuito la tassa sulle banche con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per poi giustificare un prelievo forzoso e retroattivo dai conti degli italiani. Ursula potrebbe poi dire a Giorgia: “ora i conti tornano: Bruxelles approva ed applaude al coraggio dell’esecutivo italiano”. Dopo un eventuale falò del risparmio il governo Meloni non subirebbe più alcun intervento disturbo da Ue e Bce. Poteri bancari europei ed opposizioni lascerebbero la Meloni governare in pace fino a fine mandato. Perché avrebbero ottenuto il falò dei risparmi (tanto loro creano dal nulla moneta elettronica, non hanno più bisogno dei depositi dei cittadini) e la certezza che gli italiani non rinnoverebbero più fiducia a Giorgia Meloni alla scadenza naturale del Governo: nel breve tempo scongiurerebbero anche eventuali vittorie a suppletive, amministrative ed europee. Tre piccioni con una fava per il club europeo: scongiurerebbero che l’Italia assurga a locomotiva economica d’Europa, incasserebbero il falò di risparmi e patrimoni e, soprattutto, sbarrerebbero la strada per molti anni a destra e centro-destra. Questi sono i veri pericoli all’orizzonte per Giorgia Meloni, e non certo il libro del Generale Vannacci o il conto al ristorante albanese, e nemmeno l’evasione fiscale è un pericolo (crea un po’ d’economia). Ora è il momento di dare qualche soddisfazione al popolo. E’ il momento di dimostrare la non sudditanza verso i poteri europei, anche approfittando del ginocchio piegato dei comparti economici manifatturieri ed agricoli di Olanda e Germania.

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