Veneto Banca S.p.A.

Banca sottoposta a procedura di liquidazione coatta amministrativa.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) ha disposto, su proposta della Banca d’Italia, con Decreto n. 186 del 25 giugno 2017, la sottoposizione di Veneto Banca S.p.A. a liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 80, comma 1, del Testo Unico delle Leggi in materia bancaria e creditizia – TUB e dell’art. 2 comma 1, lettera a), del Decreto Legge n. 99 del 25 giugno 2017 (convertito nella Legge 121/2017).

LA STORIA DI VENETO BANCA S.P.A.

Nell’Italia dei comuni e del profondo legame col territorio, le banche locali hanno spesso assunto un ruolo rilevante nello sviluppo economico, sociale e politico della zona di riferimento. È anche il caso di Veneto Banca, istituto oggi a capo della dodicesima realtà bancaria italiana per masse amministrate – il Gruppo Veneto Banca – frutto attuale della ben più “antica” Banca popolare di Montebelluna, cittadina in provincia di Treviso.

La storia economica è costellata di esempi nei quali da un singolo evento si sono poi propagate importanti ripercussioni per lo sviluppo economico di intere località. In questo caso fu determinante la creazione, tra il 1869 e il 1872, di un mercato generale che fece di Montebelluna una sorta di baricentro per il territorio circostante. La fondazione della banca, insieme all’istituzione del mercato generale, può quindi essere vista come uno dei principali strumenti attraverso i quali passò la modernizzazione di Montebelluna. La nascita della banca s’inseriva in un contesto di sviluppo fecondo per le banche popolari: nello stesso periodo, infatti, nacquero istituti analoghi ad Asolo, Valdobbiadene e Vicenza.

L’8 agosto 1877, alla presenza del notaio Guido Dall’Armi – futuro primo direttore della banca – il comitato promotore1 siglò l’atto costitutivo e versò il capitale sociale – 21.096 lire suddivise in azioni da 20 lire l’una – permettendo al Consiglio di amministrazione di insediarsi2. Il primo statuto fu approvato soltanto all’assemblea dell’aprile 1883: nell’articolato, oltre a regolamentare l’attività istituzionale della banca, si dedicava ampio spazio all’azione dell’istituto come protagonista della beneficenza locale – lo statuto prevedeva che il 10% degli utili fosse destinato, a discrezione del Consiglio di amministrazione, alla beneficenza3.

I primi anni furono dedicati soprattutto al rafforzamento della banca, rimandando quindi lo sviluppo a una seconda fase: tanto che la prima filiale, Pederobba, divenne operativa solo a partire dal gennaio 1914. Neanche il tempo di archiviare questo primo importante passo che le vicende belliche irruppero nel territorio trevigiano: invero, nel novembre del 1917, in seguito alla disfatta di Caporetto, il prefetto fu costretto a ordinare la cessazione delle operazioni invitando la banca a trasferire i valori in un territorio più al riparo dalla minaccia austriaca – la Banca sospese quindi le operazioni e si trasferì a Ferrara.

La ricostruzione che seguì la Grande guerra rappresentò una grossa opportunità di espansione (a metà degli anni ’20 gli utili divennero quattro volte maggiori rispetto al 1914), ma portò con sé anche le prime “attenzioni” da parte di altri grandi istituti di credito (“Rizzardi, il direttore, riferisce di un incontro tenutosi a Padova per concordare una strategia per resistere ai tentativi dei principali istituti di estendersi ai centri minori con evidente programma di assorbire le banche popolari”4), tanto che la Popolare di Montebelluna cercò subito di stabilire delle alleanze aderendo, con una quota di 20.000 lire, all’Istituto Federale di Credito e Risorgimento delle Venezie. Col nuovo Statuto, approvato nell’assemblea del 1923, si aprirono le possibilità di credito anche ai terzi e ai non soci, stimolando ulteriormente la capacità di raccolta della banca (confermata anche da due significativi aumenti di capitale: il primo nel 1923 – da 104.409 lire a 423.280 – il secondo nel 1935 – da 439.680 a 769.440) e differenziandone l’azione sul territorio – il 1934 segnò anche l’avvio della collezione di opere d’arte. Durante il fascismo, la pressione del regime si fece avvertire con tutta la sua forza sia in occasione della nomina dei direttori e dei quadri della Banca – con effetti particolarmente evidenti nel 19405 – sia attraverso le ripetute richieste di sovvenzione avanzate dalle varie organizzazioni fasciste – soprattutto Opera Nazionale Balilla e dopolavoro.

Grazie anche al Piano Marshall e all’avvio del processo d’integrazione europea, l’Italia, come altri paesi del Vecchio continente, fu protagonista nel secondo dopoguerra e soprattutto negli anni ’50 del boom economico. Nel Trevigiano il reddito medio pro-capite passò da 110.481 lire del 1951 a 363.907 del 1961. Il decollo industriale del Nord Est italiano è riscontrabile anche nel significativo “crollo” del sostegno al credito agrario operato dalla Popolare di Montebelluna e nel parallelo aumento di quello industriale (tra il 1951 e il 1971 gli impiegati nel settore primario a Montebelluna passarono dal 36,7 al 10,5%, mentre quelli attivi nell’industria salirono dal 43,8 al 66,9%). Nel 1954 fu abbattuto il muro del miliardo di depositi – erano solo 100 milioni nel 1946 e 400 nel 1951.

Il nuovo contesto sociale ed economico richiese una intensificazione dei legami e delle alleanze tra gli istituti medio-piccoli: di conseguenza il 1 dicembre 1955 la Popolare di Montebelluna aderì all’Unione delle banche popolari della Marca trevigiana – composta anche da Asolo, Valdobbiadene, Castelfranco. Una semplice unione, tuttavia, non era sufficiente. Per questo si avviarono contatti sempre più stretti con la Popolare di Asolo – corteggiatissima anche dalle altre due banche popolari della zona e da altre istituzioni creditizie – fino a che si giunse, nel luglio del 1966, alla fusione formando la Banca popolare di Asolo e Montebelluna, con presidente Roberto Tomatis di Montebelluna e vice presidente Leandro Biadene, già “primo attore” ad Asolo. Le azioni della nuova banca furono pagate alla pari con quelle di Montebelluna e in un rapporto di 5 a 2 per quelle di Asolo. A quella di Asolo seguirono ben presto altre operazioni: nel 1967 la fusione con la Cassa rurale ed artigiana di Ponzano Veneto e nel 1969 l’acquisizione della Cassa rurale di Borso del Grappa.

Gli anni ’70 furono per la Banca un periodo di rafforzamento, anche grazie al decollo del distretto industriale della calzatura sportiva – celebri i doposci Moon Boot – tuttavia, il centenario di attività passò un po’ sottotono, senza grandi manifestazioni celebrative. Il decennio successivo può essere invece definito come una fase ad alta innovazione tecnologica per tutto il sistema bancario e quindi anche per la Popolare di Asolo e Montebelluna: nel 1982 furono acquistati i primi bancomat e pochi anni dopo arrivò l’adesione a Cartasì. Parallelamente, gli uffici della sede e delle varie filiali iniziarono a essere “invasi” da personal computer, stampanti, fax che richiedevano nuove competenze – rivoluzione che finì per influenzare profondamente il profilo dell’impiegato medio confinando in cantina il memorabile “ragioniere”. Nel 1983 la Banca riuscì ad aprire la sua prima storica filiale a Treviso. Pochi mesi dopo subì una clamorosa rapina alla sede centrale in piazza Dell’Armi, che fruttò un gigantesco bottino superiore ai venti miliardi e fece salire la banca alla ribalta delle cronache locali e nazionali6. L’accresciuta dimensione strutturale – a metà degli anni ’80 si raggiunsero i 500 miliardi di raccolta tra i clienti – portò alla decisione di istituire una Fondazione “per fare fronte in modo razionale a tutte le nuove richieste di intervento nel sociale e nella cultura”7.

Il quadro nazionale, quello europeo e anche quello mondiale cambiarono rapidamente tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Fu un decennio di grandi trasformazioni sociali ed economiche (un solo dato: gli immigrati a Montebelluna, che nel 1991 erano circa 120, dieci anni dopo giunsero quasi a toccare le quattromila unità); con l’avvio del Mercato Unico Europeo e la ratifica degli accordi di Maastricht, la sfida per ogni banca medio-piccola era diventare grandi o soccombere. A tale dilemma non poteva sfuggire la Popolare di Asolo e Montebelluna anche perché nel Veneto, come nelle altre regioni italiane, si stavano avviando lunghe e complesse catene di fusioni e incorporazioni bancarie che rischiavano di accerchiare progressivamente l’istituto con sede a Montebelluna.

Di conseguenza, a cavallo tra il 1996 e il 1997, si iniziò a lavorare a un accordo con San Paolo che fu raggiunto il 4 febbraio 1997, ratificato da entrambi i consigli di amministrazione: la bozza prevedeva “la distribuzione dei prodotti e dei servizi dell’istituto torinese attraverso la [rete della Popolare]”, mentre San Paolo accettava l’offerta “di limitare la sua presenza in provincia di Treviso, programmando la cessione [alla Popolare] di due sue filiali di Treviso, di una a Castelfranco Veneto e di una, già pronta per l’apertura a Montebelluna”8. Il costo “immateriale” dell’operazione era piuttosto chiaro: allearsi con San Paolo voleva dire, quantomeno, allentare il rapporto col territorio, tenacemente costruito in oltre centoventi anni di attività. Proprio per questo si avviò tra diversi soci e alcune personalità di spicco di Montebelluna un’intensa attività “carsica” tesa a trovare un modo per far saltare l’accordo con la banca di Torino. L’occasione giusta si presentò il 22 marzo 1997: in un Palazzetto Legrenzi affollato da quasi duemila soci, l’assemblea sostituì quasi interamente il Consiglio di amministrazione eleggendo diversi esponenti, come il nuovo Presidente Flavio Trinca e il Vice Presidente Franco Antiga, contrari all’intesa con San Paolo. Nel giro di pochi giorni l’accordo fu cancellato e venne nominato Direttore Generale l’attuale Amministratore Delegato, Vincenzo Consoli.

Il nuovo decennio vide la Popolare muoversi su tre fronti: 1) l’acquisizione di altri istituti di credito; 2) l’approccio europeo; 3) il necessario riassetto societario per meglio dirigere l’articolata e complessa attività di quello che stava sempre più diventando un gruppo e non più una semplice Popolare. Quanto al punto uno, la Popolare di Asolo e Montebelluna acquisisce la Banca di Credito cooperativo del Piave e del Livenza: una nuova dimensione che la porta a cambiare il proprio nome in Veneto Banca e a darsi obiettivi di più ampio respiro. In seguito, acquisisce Banca di Bergamo, Banca Meridiana, Banca del Garda e Banca Popolare di Intra, assieme alla controllata Banca Popolare di Monza e Brianza.

Ma il dinamico Nord Est aveva già da tempo iniziato a tessere stretti rapporti economici coi paesi dell’ex blocco comunista: la neonata Veneto Banca avviò quindi una serie di acquisizioni strategiche come quelle di Banca Italo Romena, della moldava Eximbank, di Banca Italiana di Sviluppo – ora Veneto Banka Albania – e di Gospodarsko Creditna Banka – oggi Veneto Banka Croazia.

Nel 2004 fu inaugurato l’avveniristico e prestigioso centro direzionale del gruppo, che si sostituì alla precedente sede in piazza Dell’Armi che aveva visto scorrere sin dagli esordi tutte le vicende della “vecchia” Popolare di Montebelluna. Nel suo importante percorso di crescita, Veneto Banca non rinuncia allo status di banca popolare profondamente radicata nel territorio (Intervistato dal “Corriere della Sera”, Vincenzo Consoli, Amministratore Delegato di Veneto Banca, così rispondeva alla giornalista che gli chiedeva delle tante occasioni nelle quali diversi istituti avevano tentato un assalto alla banca: “Siamo una bella signora e i corteggiatori non mancano, ma siamo una signora seria”. E sull’ipotesi di quotare Veneto Banca in borsa rispondeva seccamente: “Non ne vedo la necessità: nessuno qui vende quote, abbiamo 20 mila soci ma c’è la coda per entrare”9). Tra il 1997 e il 2007 Veneto Banca aveva più che raddoppiato il numero degli sportelli, dei dipendenti e dei soci, riuscendo quasi a triplicare il rendimento azionario. A dicembre 2010, il Gruppo Veneto Banca conta quasi seicento sportelli in rappresentanza di un’articolata rete territoriale che fa capo al Nord a Veneto Banca, al Centro alla Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana e al Sud a Banca Apulia – queste ultime due parti integranti del Gruppo da inizio 2010. Nel 2011 Veneto Banca incorpora la Compagnia Finanziaria Torinese (Cofito), ex holding di controllo della Banca Intermobiliare (BIM) e lancia un’Offerta Pubblica di Acquisto sulla totalità delle azioni dell’istituto, specializzato nel wealth management e nel private banking: un’operazione che conferma la solidità e il dinamismo del Gruppo in una fase non certo positiva per l’economia italiana.

Dal ristretto drappello di uomini che aveva fondato nel 1877 la Popolare a Montebelluna, a un istituto con oltre 40.000 soci e 6.200 dipendenti, “una delle prime dodici realtà bancarie italiane per masse amministrate”10.
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Il Comitato promotore era composto da: Francesco Calvi e Gaspare Marangoni-Ghirlanda, grandi proprietari, Francesco Pasqualetti, Giacinto Baldo, Edoardo Guillion Mangilli, Clarimbaldo Corunda, possidenti, Lodovico Boschieri, Giovanni Aurelio Legrenzi, avvocati, Antonio Saccardo, professore, Antonio Gobbato, filandiere, Francesco Grilli, Luigi Gandin, Giovanni Gasperini, commercianti.
2 Il primo consiglio di amministrazione: Antonio Serena, filandiere e futuro sindaco di Cornuda, Giovanni Ferrari e Giovanni Peratoner, farmacisti, Antonio Bolzon e Giobatta dell’Armi, ingegneri, Giovanni Polin, possidente, Gaetano Legrenzi, dottore, Giobatta Marcato, commerciante, Giovanni Nardello, investitore.
Statuto della Banca popolare di Montebelluna (Società Cooperativa Anonima) titolo V: Bilancio, utili e loro riparto e riserve, Articolo 45.
4 Gasparini D., 1918-1945: una banca, più banche: il radicamento nel mandamento, in Gasparini D. e L. De Bortoli, Storia di una banca di territorio. Dalla popolare di Montebelluna a Veneto Banca (1877-2007), Treviso, Canova edizioni, 2008, p. 141.
Ibidem, pp. 152-153.
E intanto vicino Treviso portano via 760 milioni, “la Repubblica”, 3 luglio 1984. La cifra riportata nell’articolo è al netto del bottino raccolto con le cassette di sicurezza.
Gasparini D., 1967-1996. Oltre il miracolo economico: da Asolo a Torri di Quartesolo, in Gasparini D. e L. De Bortoli, Storia di una banca di territorio. Dalla popolare di Montebelluna a
Veneto Banca (1877-2007), cit, p. 275.
Gasparini D., 1997-2007. 22 marzo 1997: la difesa dell’identità e dell’autonomia, in Ibidem, cit, p.282.
9 Pica P., intervista a V. Consoli, Consoli, il “popolare” Veneto tra sportelli, finanza e Generali, “Corriere della Sera”, 4 settembre 2007. Si veda anche Righi S., La campagna d’Italia del ragionier Consoli, “Corriere della Sera”, 26 gennaio 2009.
10 Brochure Veneto Banca Holding, Conoscere il territorio, riconoscere il valore, p. 3. Sull’argomento si veda Possamai P., Veneto banca entra nella top ten del credito, “la Repubblica”, 7 settembre 2009.

 

Fonte

Consultata in data 09.04.22

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