Ucraina: La rivoluzione di Maidan ha perso

Ucraina: La rivoluzione di Maidan ha perso

Ucraina: La rivoluzione di Maidan ha persoLa “rivoluzione” di Maidan ha perso. Ma cos’è stata davvero la “rivoluzione” e perché sosteniamo sia uscita sconfitta? Sono passati ormai diversi mesi da quando, nel novembre 2013, centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza a Kiev e possiamo guardare oggi a quegli eventi da un punto di vista più distaccato cercando di analizzare tutti i livelli dello scontro. Uno scontro che oggi, in diversa forma, continua. Quella che intendiamo proporre è, ovviamente, un punto di vista ma ragionato e fondato su alcuni fatti.

Le ragioni della piazza

Ci chiedevamo cosa fosse questa “rivoluzione”: quelle del 21 novembre in piazza Indipendenza (poi ribattezzata semplicemente “Maidan”, ovvero “la piazza”) non furono manifestazioni europeiste: la mancata firma dell’accordo di associazione con l’Unione Europea è stata solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso colmo da tempo. Quello che si chiedeva era la rimozione di un presidente il cui parossistico livello di corruzione aveva strozzato la vita economica del paese, già gravemente colpito dalla crisi. Non c’erano che poche bandiere europee e soprattutto non c’era un sentimento antirusso. Insomma, la gente protestava per le ragioni di sempre: mancanza di lavoro, eccesso di corruzione da parte dei leader politici, e una giustizia amputata dalla legge del più forte.

Il gioco degli oligarchi

A un livello meno evidente, queste manifestazioni sono state anche l’espressione del malcontento degli oligarchi ucraini che, per i loro affari, avevano un disperato bisogno di quell’accordo con l’Unione Europea: poter esportare i loro prodotti in Europa senza pagare dazi e gabelle era, in un contesto di profonda crisi, necessario ai loro interessi. Petro Poroshenko, poi eletto presidente dell’Ucraina nel maggio 2014, era forse uno dei finanziatori della protesta. Insomma, agli oligarchi serviva associarsi con l’UE e hanno appoggiato la protesta. Per la prima volta anche gli oligarchi erano pressoché tutti d’accordo: in Ucraina esistono infatti due principali gruppi oligarchici da sempre in conflitto, quello di Donetsk e quello di Dnepropetrovsk, figli del periodo di privatizzazioni allegre che caratterizzarono la fine del regime sovietico. Questi due gruppi, da sempre in lotta per il potere, trovavano ormai in Yanukovich un impiccio. Si stima che il presidente, tramite società britanniche, portasse via dalle casse dello stato circa 15 miliardi di dollari all’anno. Esattamente quanto ora il governo ucraino sta elemosinando all’Europa. C’è poi il livello internazionale e non è sbagliato sostenere che, almeno dal 2004, gli Stati Uniti avessero cominciato a mettere il becco nella politica ucraina sostenendo le forze della Rivoluzione Arancione in modo da spostare verso ovest il baricentro del paese, finanziando attraverso fondazioni e organizzazioni non governative i partiti di opposizione. Partiti che, in buona misura, erano espressione del gruppo oligarchico antagonista a quello di Yanukovich.

E’ sbagliato vedere uno scontro tra est e ovest

Queste considerazioni sul ruolo degli oligarchi e della politica internazionali sono però sono secondarie. Sbaglia chi le pone al centro della questione. E’ falso sostenere che in Ucraina stia andando in scena uno scontro tra blocco euroatlantico e Russia. In Ucraina centinaia di migliaia di persone, sia russofone che ucrainofone, hanno manifestato per un cambiamento. Sono loro i protagonisti, sono loro gli sconfitti. Il resto è stato costruito attorno a loro, attorno al malcontento della popolazione: un malcontento cavalcato e pilotato da forze reazionarie ma genuino e radicato. La divisione in due anime del paese riassume schematicamente alcune ragioni dell’opposizione est-ovest nel paese ma non si tratta di una linea di demarcazione netta né le differenze sono mai state tali da giungere a una guerra civile, eppure di governi “filo-occidentali” in Ucraina ce n’è già stato uno. Quella di Maidan è una “rivoluzione” che deve essere messa in relazione con la Rivoluzione Arancione del 2004 in cui, per la prima volta in un paese dell’ex blocco sovietico, i cittadini hanno lungamente, fermamente e pacificamente manifestato ottenendo infine, anche se per un breve periodo, quel che volevano.

La rivoluzione da sempre scippata

Quella degli ucraini con la “rivoluzione” è una storia che comincia però già nel 1991 quando, a larghissima maggioranza, venne votata l’indipendenza. Si sperava in una crescita economica e che l’autogoverno consentisse al paese la costruzione di uno stato di diritto. Ma i fautori della rapida privatizzazione – diciamolo pure, l’occidente e il suo modello ultraliberista – hanno consegnato il paese nelle mani di una ristretta cerchia di persone, arricchitesi con illeciti ed espressione del crimine organizzato, poi divenute note con il nome di oligarchi. Gli oligarchi si sono guardati bene dal costruire uno stato di diritto e, già in quel 1991, la popolazione è uscita sconfitta vedendosi scippare l’indipendenza da un gruppo di faccendieri. Nel 2004 la Rivoluzione Arancione fu la dimostrazione che gli ucraini non ci stavano e, specie nelle generazioni più giovani, si era radicato un malcontento profondo. Quella arancione fu una rivoluzione unica e maestosa, ma la fiducia dei cittadini si rivelò presto mal risposta: Viktor Yushenko, l’allora presidente arancione, nominò primo ministro Yulia Timoshenko, oligarca del gruppo di Dniepropetrovsk. La “zarina del gas” era della stessa pasta dei suoi predecessori: questa gente non è davvero pro o contro qualcosa. Non sono pro-Europa o anti-Russia. Sono semplicemente pro-se stessi. La “Rivoluzione Arancione” fu scippata alla gente che passò settimane intere accampata al gelo di piazza Indipendenza (la stessa Maidan di oggi) da una classe dirigente corrotta a tutto tondo, egoista e incapace di fare il bene del paese. Ma a conferma che il centro di tutto non è la geopolitica ma la gente, nel 2013 è andata in scena un’altra manifestazione: la “rivoluzione” di Maidan ha portato alla fuga del presidente Yanukovich e alla formazione di un governo ad interim formato da esponenti di tutti i partiti di opposizione. Anche questa “rivoluzione” è stata però scippata alla piazza. Leggere oggi quelle manifestazioni come una grande baracconata ordita dall’occidente è sbagliato e falso. L’unico a giovarsi di questa chiave di lettura è il Cremlino che può, in questo modo, legittimare il proprio intervento in Ucraina ponendosi come antemurale all’imperialismo euroatalantico quando, fin qui, l’unica ad aver annesso forzosamente territori è la Russia.

La “rivoluzione” di Maidan ha perso

Per questo oggi la “rivoluzione” di Maidan ha perso. Ha perso perché non si era scesi in piazza per sostituire un gruppo di oligarchi con un’altro, e Poroshenko oggi è esattamente l’espressione dell’oligarchia ucraina. Ha perso perché i gruppi estremisti, minoritari nell’agone politico, hanno saputo diventare protagonisti della protesta togliendola dalle mani dei cittadini. Ha perso perché il governo in carica non rappresenta la protesta ma è un’insieme di partiti che la protesta non l’hanno capita, né se l’aspettavano, e che si sono legittimati come forza di governo approfittando del vuoto politico e del caos. Ha perso perché quel governo non ha indetto subito le elezioni parlamentari, consentendo agli elettori di decidere. Ha perso soprattutto perché quel governo è stato incapace di mediare, di evitare lo scontro geopolitico che ha portato alla guerra civile e alla perdita della Crimea. Sui morti di piazza Indipendenza, sui morti di Odessa e Mariupol, sulle macerie degli scontri nell’est del paese, la rivoluzione di Maidan ha perso. Certo, è sbagliato vedere nella piazza l’unica depositaria della giustizia, assurgere la massa a depositaria della genuina verità: la protesta di piazza Indipendenza è stata espressione di una parte dell’Ucraina e la rimozione di Yanukovich ha lasciato molti senza un punto di riferimento. Tuttavia, come si è sostenuto fin qui, esiste un condiviso bisogno di rinnovamento in Ucraina: un bisogno che non è né filorusso né antirusso, ma che vuole una classe politica capace di fare il bene del paese e non il proprio. Ecco che allora possiamo togliere le virgolette alla parola “rivoluzione”. Sì, è stata una rivoluzione: tutto è stato sovvertito affinché tutto tornasse uguale a com’era. Ma gli ucraini hanno dimostrato di non volersi arrendere, anche a costo di vedersi fare a pezzi il paese.

Matteo Zola

 

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