Il significato della parola terra – Bruno Tomasich

La nostra Terra

La mia risposta allo “ius solis” io l’ho data scrivendo il mio libro “La nostra Terra”:

Il significato della parola Terra

La nostra TerraLa parola Terra, scritta con la T maiuscola, racchiude in sé così tanti significati che forse nessuna altra parola ha mai rappresentato. Io ho cercato di estrarne alcuni, quelli per me più significativi fra i tanti che vengono proposti alla mente. Fra i più suggestivi significati sono quelli partoriti dalla mente dei poeti. Per Ugo Foscolo é la Patria lontana, l’isola di Zacinto che così il poeta canta: “Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia… Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura”. La morte lontana dalla terra natale richiama al poeta l’idea di una sepoltura senza lacrime, e perciò “illacrimata”. Ed anche nelle “Grazie” il poeta ricorda la sua isola natale: “Salve Zacinto! all’antenoree prode, de’ santi Lari Idei ultimo albergo e de’ miei padri, darò i carmi e l’ossa, e a te il pensier: ché piamente a queste Dee non favella chi la patria oblia”. Dalla terra natale alla terra ove riposare le ossa, io sento “l’afflato retorico” che assume la parola Patria nei versi del Foscolo. Il poeta reagiva così, all’affermarsi delle fredde ideologie materialistiche della rivoluzione francese, nei Sepolcri, scritti per la morte dell’amico Pindemonte: “Ma perché pria del tempo a sé il mortale invidierà l’illusion che spento pur lo sofferma al limitar di Dite? Non vive ei forse anche sotterra, quando gli sarà muta l’armonia del giorno se può destarla con soavi cure nella mente de’ suoi?”. E’ un poco il ritorno ai valori della tradizione, dei riti e della loro importanza simbolica: se abbiamo perduto la speranza del futuro, dopo la morte fisica, le nostre azioni rivivranno nella mente dei “nostri”. Non era d’altra parte lontano a venire il tempo della morte dei fratelli Bandiera al canto, “retorico” direbbero i professori dell’antiretorica, di “chi per la Patria muor, vissuto è assai … Più tosto che languir è meglio di morir sul fior degli anni”, dall’opera di Saverio Mercadante, scritta nel 1826 e cantata sul patibolo dai fratelli Bandiera nel 1844. Mancava ancora quasi un ventennio al 1861, è l’Italia era già fatta per intero e da secoli nel cuore degli Italiani. Saverio Mercadante era pugliese d’Altamura, i fratelli Bandiera erano veneziani. Gabriele D’annunzio fu un altro poeta Italiano ad avere grande amore della sua terra, sentita e vista fisicamente per essere poi idealizzata nel concetto di Patria: “attraverso la Maiella innevata, sacra e materna” e dei suoi pastori che “lascian gli stazzi e vanno verso il mare: scendono all’Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti… E vanno pel tratturo antico al piano, quasi per un erbal fiume silente, su le vestigia degli antichi padri”. Ma la Patria di D’Annunzio non si fermava all’Abruzzo della nostalgia giovanile ma risaliva lo “stivale” lungo le acque dell’Adriatico fino al Carnaro: “Il profumo dell’Italia è tra Unie e Promontore, da Lussin, da Val d’Augusto vien l’odor di Roma al cuore…Da Lussin alla Merlera, da Calluda ad Abazia, per il largo e per il lungo torneremo in signoria d’Istria, Fiume, di Dalmazia, di Ragusa, Zara e Pola carne e sangue dell’Italia! … Dove son gli impiccatori degli Eroi che non scordiamo? Dove son gli infoibatori della nostra gente sola? Ruggirà per noi il leone, di là raglio di somaro. Eja, carne del Carnaro! Eja Eja Alalà”. Vate della nuova Italia fu denominato D’Annunzio. I suoi motti famosi da “maxime audere semper”, “bisogna fare la propria vita come si fa un’opera d’arte”, “io ho quel che ho donato”, misurano il significato che aveva, ai suoi tempi, la parola Vate. Prima di D’Annunzio fu definito “Vate della Terza Italia” Giosuè Carducci di cui cito l’invettiva: “Maledetto l’infamissimo secolo in cui nacqui, intedescato, infrancesato, inglesato, biblico, orientalista, tutto fuorché italiano”. E’ il vizio dell’Italia, a dir meglio degli italiani dei momenti peggiori, quelli del Monti, il poeta Vincenzo s’intende, non Mario il bancario. Di lui ha scritto Francesco De Sanctis: “Il poeta faceva ciò che facevano i diplomatici. Erano le idee del tempo e si torcevano a tutti gli avvenimenti…Non aveva l’indipendenza sociale dell’Alfieri, e non la virile moralità di Parini: era un buon uomo che avrebbe voluto conciliare insieme idee vecchie e nuove, tutte le opinioni, e dovendo pur scegliere, si teneva stretto alla maggioranza, e non gli piaceva fare il martire.”

Così Giuseppe Giusti nel “Brindisi di Girella” descrisse i personaggi del tempo, rappresentandoli così bene che mi sembra vederli oggi. Forse sono loro che sono tornati: “Quando tornò lo Statu quo, feci baldorie; staccai cavalli, mutai le statue sui piedistalli. E adagio adagio tra l’onde e i vortici, su queste tavole del gran naufragio, gridando evviva chiappai la riva. Viva Arlecchini e burattini; viva gl’inchini, viva le maschere d’ogni paese, viva il gergo d’allora e chi l’intese”. Quella Italia dello “statu quo” fu così descritta da Dante Alighieri: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!” Ma Dante sognava un’altra Italia che fosse il “giardin dello imperio”. Altri pensarono, come lui, a un’altra Italia ”dove profumano i giardini”. Giustamente Marcello Veneziani, forse un poco sdegnato, come lo sono io, delle “sentite” cerimonie celebrative, non so per compiacere a chi, dei centocinquanta anni dell’unità d’Italia, ha tenuto a precisare: “Risorgimentali e antirisorgimentali, mettetevi l’anima in pace. L’Italia non l’ha fatta Garibaldi, e nemmeno Cavour o Vittorio Emanuele. L’ha fatta la geografia, l’ha fatta la storia, l’ha fatta la letteratura. Ma se cercate il fondatore, se avete bisogno di un padre, un Enea per l’Italia, allora quel Fondatore non fu un condottiero, ma un poeta. L’Italia fu fatta da Dante Alighieri. Fu lui a dare dignità al terreno primario e comune di una nazione, la lingua. Fu lui a riannodare l’Impero e il Papato, cioè la civiltà cristiana e la civiltà romana, riconoscendoli come i genitori dell’Italia. Ebbero altri figli, certamente, ma la figlia che ereditò la casa paterna e materna fu l’Italia”. Potrei continuare nell’elencazione dei poeti che, nel bene e nel male, hanno dato il loro significato alla parola terra intesa come il paese natale, la nostra terra, dove possiamo ritrovare le nostre radici, alla quale ritorneremo. Un altro significato della parola “terra” è quello di “pianeta”, il mondo di tutti gli esseri umani e delle risorse economiche e delle materie in funzione della vita umana stessa. A questa visione antropomorfica si oppone quella del pianeta come biosfera a cui tutti gli esseri viventi appartengono in una unità interdipendente di cui l’uomo non è che un componente come ogni altro. Quest’ultima visione sta assumendo un aspetto ideologico esasperato e perfino sconcertante soprattutto perché trova principale modo d’esprimersi nel mondo della rete che, per sua natura, è l’opposto del mondo biologico. Comunque ognuno di questi aspetti ha la sua parte di verità, sempre che non si dimentichi il momento della nascita di ogni sentimento, quello che si riconosce nella terra che ci è culla e si chiama Patria. Se non si comincia ad amare quella terra più piccola, se non si capisce lo stesso attaccamento che gli altri provano per la propria terra, non si potrà allargare al mondo quel sentimento che non potrà riconoscere ciò che non ha mai conosciuto. Ancora retorica! Leggete dentro di voi per cercare la verità dei vostri sentimenti e ditemi se non è il pensiero dei vostri amori vicini, fisicamente vicini a farvi sentire partecipi delle comunità più grandi che altrimenti non avrebbero senso. Se non avete amori vicini, per quanto grande e nobile sia il vostro sentire, vi compiango. Facciamo un ritorno alla realtà della nostra terra, dai suoi confini ben determinati, che la sua posizione geografica e la sua storia millenaria le hanno dato, eppure soffrono dello “sfilacciamento” che, non la storia, ma la malasorte e la corta vista dei vincitori del primo e del secondo conflitto mondiale, hanno pervicacemente imposto”.

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