Militia – di Léon Degrelle

Militia - di Léon Degrelle

Militia - di Léon Degrelle “Agire puro non significa agire cieco. E la norma di non guardare alle conseguenze concerne i moventi affettivi individualistici, non già la necessaria conoscenza di quelle condizioni oggettive di cui l’azione deve tener conto per essere, per quanto è possibile, un’azione perfetta, anzi per non essere un’azione destinata già in partenza a fallire”.

Julius Evola, “Cavalcare la tigre”.

ETSI MORTUUS URIT

“Possano queste pagine, ultimo fuoco di quel che io fui, ardere ancora un momento, riscaldare ancora un istante le anime possedute dalla passione di donarsi e di credere: di credere malgrado tutto, malgrado la disinvoltura dei corrotti e dei cinici, malgrado il triste gusto amaro che ci lasciano nell’anima il ricordo delle nostre colpe, la coscienza della nostra miseria e l’immenso campo di rovine morali di un mondo che, sicuro di non avere più bisogno di salvezza, da questo trae motivi di gloria, ma deve lo stesso essere salvato. Deve più che mai essere salvato”.

Il fuoco e le ceneri

 

Le parole raccolte in questo volume sono parole perdute, scovate per caso e ritrovate da uno dei maggiori scrittori spagnoli del Novecento: Gregorio Maranon. Esse appartengono al cielo, dal cielo sono venute per ispirare il generale Léon Degrelle, per regalare l’ultimo soffio di speranza e forza agli spiriti dei giovani d’Europa. L’Europa, sogno, mito, idea del fondatore di Rex, il vallone in forzato esilio spagnolo che dopo la Seconda Guerra Mondiale non vide più i tramonti della sua terra. Troppo di più è inutile dirvi, prima di avervi donato qualche suo stralcio, dell’uomo Degrelle; inutile giudicare le sue gesta, da ovunque le si guardi. Ciò che conta, ciò che resta, sono appunto le parole: un canto assoluto, impervio, oltre, per gli uomini e per l’infinito, per chiunque ne sappia riconoscere il valore più puro. E come intuì immediatamente Maranon, quest’opera comprende una serie di note spirituali che l’autore scrisse nel corso delle vicende avventurose della propria vita, prima e durante la seconda guerra mondiale. Parole d’un uomo immutevole che colpirono Maranon sin dalla prima e immediata lettura:

“Sono di una bellezza impossibile a superare, vibranti di pathos umano”.

L’opera si divide in sei parti (e in molteplici sottoparti): “I cuori vuoti”, “Fonti di vita”, “L’angoscia degli uomini”, “La gioia degli uomini”, “Il servizio degli uomini”, “Dono totale”. C’è da perdersi tra tanta bellezza, non potendo e non volendo farvi dono di tutto – perché dovete leggere con i vostri occhi -, vi lascio versi e suggestioni sparse per il libro come soffio che v’inebri per pochi istanti e che vi porti a cercare in voi l’energia che qui si emana:

“Scrivo senza tremare queste parole che pure mi fanno soffrire. Nell’ora della disfatta di un mondo, c’è bisogno di anime rudi ed elevate come rocce cui s’infrangeranno invano le onde scatenate”.

Intransigenza

“Eccomi giunto quasi al termine della mia corsa umana. Io ho provato quasi tutto. Conosciuto tutto. E, soprattutto, sofferto tutto. Abbagliato, ho visto alzarsi i grandi fuochi d’oro della mia giovinezza. Il loro incendio illuminava il mio paese. Le folle facevano danzare intorno a me ondate costellate da migliaia di volti. Il loro ardore, il loro vortice sono esistiti”.

Il fuoco e le ceneri

“Coloro che esitano davanti allo sforzo sono coloro la cui anima è ottusa. Un grande ideale dà sempre la forza di dominare il proprio corpo, di soffrire la fatica, la fame, il freddo… la facilità addormenta l’ideale. Niente lo risveglia meglio che la sferza della vita dura: essa ci permette di cogliere le profondità dei doveri da compiere, della missione di cui occorre essere degni. Il resto non conta. La salute non ha alcuna importanza. Non si è sulla terra per mangiare in orario, dormire a tempo opportuno, vivere cent’anni od oltre. Tutto questo è vano e sciocco… l’anima sola conta e deve dominare tutto il resto. Breve o lunga, la vita vale soltanto se noi non avremo da vergognarcene nel momento in cui occorrerà renderla”.

Vita retta

“Occorre aver solcato i mari più lontani, aver conosciuto le rosse notti dei Tropici, i fuochi delle canne da zucchero, i canti dei negri, i deserti con le sabbie rosate…per amare pienamente un paese, quello che si vede per primo, con i soli occhi limpidi che si vedono al mondo: gli occhi di fanciullo”.

Il cuore e le pietre

“Casa, fortezza e tenerezza… Tutto a poco a poco, assume un volto, man mano che arrivano le fatiche e i dolori comuni, e nascono i figli. I muri hanno racchiuso gli amori e i sogni. I mobili belli o brutti sono stati amici e testimoni. Un profumo sale dolcemente da queste anime confuse, e un raccoglimento, una pace, una certezza – invece delle soste trafelate sui pianerottoli dell’esistenza”.

Il cuore e le pietre

“Occorre pensare continuamente al valore della vita. Questo è lo strumento ammirevole postoci nelle mani per forgiare la nostra volontà, elevare la coscienza, edificare un’opera di intelletto e di cuore. La vita non è una forma di tristezza, ma di gioia fatta carne. Gioia di essere utile. Gioia di domare quel che potrebbe macchiarci o sminuirci. Gioia di agire o di donarci. Gioia di amare tutto quel che vibra, spirito e materia, perché tutto, sotto l’impulso di una vita retta, eleva, alleggerisce, anziché pesare”.

Il valore della vita

“Dovunque si sia, in alto o in basso, uomo o donna, il problema rimane sempre il medesimo: è il donare che rende le anime chiare o torbide”.

Grandezza

“Morir vent’anni prima o vent’anni dopo poco importa. Quel che importa è morir bene. Soltanto allora inizia la vita”.

La grande ritirata

“Tutti portiamo la nostra croce: occorre portarla con un sorriso d’orgoglio, perché si sappia che siamo più forti della sofferenza, e anche perché coloro che ci feriscono comprendano che le loro frecce ci colpiscono inutilmente. Che importa soffrire, se vi è stata nella nostra vita qualche ora immortale? Quanto meno, si è vissuto!”.

La nostra croce

“Ma sono appunto questi gli obbiettivi della vera rivoluzione: recare luce a questi spiriti ghermiti dalle ombre; aiutare a rialzarsi queste anime che stanno cadendo; rinsegnare ad aspirare a cose diverse da quelle corporali; dominare l’imperfetto, elevarsi verso il meglio, qual pur siano gli sforzi”.

Flottiglia d’anime

“Avrai vinto. Essere ucciso dall’ultimo sforzo non avrà più alcuna importanza, se gli altri saranno là, sul ciglio dell’immensità pura della redenzione. In fondo, tu sei tanto felice. Tu sai che là risiede la sola felicità. Canta! Tuoni la tua voce nelle valli! Rimpianti e lacrime? Ma è la parte più mediocre di te che ha sofferto: quella che hai appena respinto! Il più duro è superato. Resisti. Stringi i denti. Fa tacere il cuore. Pensa soltanto alla vetta! Sali!”.

Vette

Ora vi spiego, a sommi capi, chi è stato Léon Degrelle. Per noi giovani militanti del Fronte della gioventù Léon era un mito, prima di tutto. Anche chi non aveva letto Militia, entrando in una nostra sezione sarebbe venuto naturalmente in contatto con l’epica narrazione delle sue gesta. Per quanto epicizzato con tutta l’enfasi possibile, per i 18enni che eravamo allora (parlo dei primi anni Novanta), da un’ambiente che al tempo era ben ancorato ai suoi miti politici e d’azione, Léon resta forse come uno dei pochi personaggi per il quale quel tipo di narrazione leggendaria era realmente ben motivata (un altro grande personaggio che fonde idea, penna ed azione per il quale vale un discorso simile, considerando il contesto, è certamente il noto letterato ed artista giapponese Yukio Mishima). E lo capii quando andai oltre Militia e lessi i suoi scritti politici e di guerra. Léon fu fin da giovanissimo tante cose: curioso viaggiatore, uomo di lettere e cultura, uomo politico e uomo d’azione. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu soprattutto un impavido condottiere pronto al sacrificio più estremo per un suo fratello in battaglia. Giovanissimo, durante un viaggio negli Starti Uniti, Lèon toccò con mano le grandi sperequazioni sociali e il volto estremo del capitalismo. Tornato in patria, in Belgio, fece sue le grandi battaglie contro il capitalismo e la corruzione, contro le iniquità sociali, contro tutti i privilegi avallati da una classe politica immobilista e corrotta. Fondò un periodico, Rex, attorno al quale in pochi anni si costruì un movimento d’opinione che divenne anche movimento politico. Fino a che Rex, composto in prevalenza da giovani leve e guidato dallo stesso Degrelle, entrò in parlamento con una trentina tra deputati e senatori. Fu osteggiato, successivamente, tanto dai partiti liberali che cattolici che di sinistra. Vistosi oscurato in patria dalle grandi lobbies affaristiche e dai partiti di potere, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale Léon decise di combattere al fianco della Germania nazionalsocialista, ritenuta da lui la forza avversaria sia del capitalismo che del comunismo. Fu un grande soldato e condottiere, e ricevette per le sue gesta, direttamente da Adolf Hitler, la più alta onorificenza al valor militare, unico non tedesco peraltro insignito di tale riconoscimento. A guerra persa, Léon fu ritenuto dal Belgio un traditore, fu condannato a morte e in conseguenza di ciò costretto a vivere in esilio, in Spagna, fino alla sua morte, che sopraggiunse peraltro in tarda età. Questo in estrema sintesi il suo percorso, perché ci sarebbe da argomentare molto su tutti gli eventi che hanno caratterizzato la vita straordinaria di Léon Degrelle. Militia è pertanto, come risulterà in parte evidente dagli stralci qui presenti, una sorta di lungo e poetico flusso di coscienza diviso in atti ed esperienze, un vero e proprio testamento spirituale che vide la luce per la prima volta a Parigi nel 1964 portando come titolo Les Ames qui Brulent. I frammenti che ho selezionato sono esemplificativi del messaggio che Léon Degrelle volle donar di sé alle giovani generazioni soprattutto, che poco sapevano e molto ignoravano degli eventi cruciali del secolo scorso, che ancora sognavano e a loro modo lottavano per un mondo diverso. Un invito a non perdersi, nonostante le difficoltà, le pressioni della vita e i lacci del potere. Un fiero canto dell’esistenza, un monito ad esserci sempre e a restare sempre presenti. E Léon ci fu sempre, per i suoi fratelli, compatrioti e non, per un’idea che guardava oltre le alleanze e gli equilibri di quel tempo di guerra, per un’ Europa pensata libera da vincoli o egemonie, di qualsiasi tipo e di qualsiasi colore. Certo scelse, scelse un’alleanza sconfitta; la scelse in buona fede e pensando fosse l’unica possibile per emanciparsi dalla barbarie borghese e cialtrona che governava stancamente il suo continente e la sua Patria, che andava alleandosi con quella ancor più misera e ignorante d’oltreoceano (gli Usa). Né russi, né americani, dunque, ad insegnarci la giusta via, né l’abominio sovietico e né il liberticida liberismo americano, quasi presentendo l’egemonia prossima dei due blocchi sull’occidente e sull’intero pianeta. Come dargli torto, a posteriori? I risultati sono sotto gli occhi di tutti, anche di coloro che se li sono bendati per lungo tempo. Ciò che resta, comunque, nel tempo e nonostante il tempo, nella storia e nonostante la storia, sono le sue parole – a rimarcar nobili gesta. Si condividano o meno, le parole del Generale Degrelle arrivano direttamente dall’Alto e vanno verso l’Alto, per ritornare a noi come vasta eco, vibrante invito a non arrendersi mai, puri della giovinezza del fanciullo: perché si possa guardarlo in faccia, questo “mostro”, questa piovra onnivora del nostro tempo globale ed indistinto. Tempo sopito, ahimè, tempo nascosto, mimetico e indeciso, lontano dalla rivolta e dal suo monito: “Che il destino ci trovi sempre forti e degni”.

Federico Magi, aprile 2005.

Militia
Léon Degrelle
Traduttore: F. G. Freda
Editore: Edizioni di AR
Collana: Il tempo e l’epoca dei fascismi
Edizione: 6
Anno edizione: 2014
EAN: 9788898672011

 

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