Lotta all’immigrazione: come funziona il modello australiano del “No Way”

Immigrazione: come funziona il modello australiano del "No Way"

 “NO WAY”!  Ecco come l’Australia blocca in mare le navi che trasportano clandestini.  

Queste le traduzioni di “No Way”:

Immigrazione: come funziona il modello australiano del "No Way"

Nessuna eccezione o deroga, nemmeno per i bambini o per chi sta male. È la “Pacific Solution”, la via australiana al blocco degli immigrati che il ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini vorrebbe importare in Italia e di cui ha parlato ieri nel suo video in cui spiegava perché non ha intenzione di cedere sulla nave Diciotti. Un modello di “tolleranza zero” introdotto nel settembre 2013 dall’allora primo ministro australiano, il conservatore Tony Abbott, e che in Europa è stato invocato dal britannico Nigel Farage, capo del partito euroscettico Ukip.

Lo stop ai «boat people»
Per chi non avesse ben chiaro che non c’è modo di mettere piede in Australia arrivando su un gommone o su una barca, il governo di Canberra aveva realizzato e diffuso “No Way”, un breve video il cui il generale Angus Campbell, comandante dell’operazione “Sovereign Borders” (Frontiere sovrane), spiega che la politica è quella di «intercettare qualsiasi nave che sta cercando di entrare illegalmente in Australia e rimuoverla in sicurezza oltre le nostre acque». «Il messaggio è semplice: se vieni in Australia illegalmente in barca non avrai mai modo di diventare cittadino australiano», afferma il generale, sguardo fisso e mimetica, spiegando che «le regole si applicano a tutti, famiglie, bambini, non ci sono eccezioni».

I centri di detenzione
Una legislazione durissima, quella australiana, che viene applicata con un’operazione militare nella quale non c’è spazio per assistenza e soccorsi. Quello che succede in pratica a chi ci prova – soprattutto cingalesi, afghani, iraniani e iracheni – è che in alcuni casi le imbarcazioni vengono scortate nei porti di provenienza, più spesso gli immigrati vengono trasferiti in centri di detenzione nella piccola isola di Nauru (la repubblica indipendente più piccola del mondo, a circa tremila chilometri a nord est dell’Australia) e nelle isole di Manus, in Papua Nuova Guinea (quest’ultimo ufficialmente chiuso, ma di fatto ancora attivo), in pieno Oceano Pacifico. È là, in condizioni che Amnesty International ha denunciato come durissime (diffondendo anche video), che gli immigrati vengono confinati in attesa che le loro domande siano esaminate. E nei rari casi in cui viene riconosciuto lo status di rifugiato, lasciare le isole non è quasi mai consentito.

Alcuni giorni fa avvocati e politici dell’opposizione australiana avevano denunciato la situazione di 119 bambini detenuti forzatamente e in gravi condizioni di salute nel minuscolo Stato-isola di Nauru. Il governo australiano insiste che i minori non sono più detenuti. Tuttavia, né loro né i loro genitori possono lasciare l’isola. Il governo di Canberra ha cominciato a trasferire a Nauru centinaia di richiedenti asilo e rifugiati dopo la riapertura del suo centro di detenzione, nel 2012. Il primo risale al 2001 quando la piccola repubblica accettò di accogliere i profughi che l’Australia non voleva ospitare, in cambio di 10 milioni di dollari da Canberra. Da allora – ha riferito la Cnn – ci sono stati continui report sui danni fisici e psicologici delle persone arrivate a Nauru. Un rapporto Onu del 2016 riscontrò molti casi di tentato suicidio, atti di autolesionismo e depressione tra i bambini detenuti nel campo.

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