L’evoluzione del sistema SPRAR

Migranti, profughi, rifugiati: le parole sono importanti. Lo spiega la Crusca

 

Premessa. Lo SPRAR (Sistema di Protezione per i Richiedenti asilo e Rifugiati) è stato progettato e finanziato dagli inizi degli anni 2000 dal Ministero degli Interni e dall’ANCI, al fine di uscire da quel sistema emergenziale (mancanza di una legislazione organica, di fondi strutturali e di una adeguata programmazione), che hanno caratterizzato per lungo tempo la politica migratoria e di accoglienza in Italia. La sua istituzione è stata un punto di svolta all’interno del quadro di applicazione reale del principio del diritto di asilo ed in generale del diritto del perseguitato di ricevere assistenza ed accoglienza, riconosciuto sia costituzionalmente che a livello internazionale, e non solo a livello di semplice raggiungimento degli standard di sussistenza: in primis perché per la prima volta si è iniziato approcciarsi a questo tema in termini di programmazione e non semplicemente rincorrendo un’emergenza, in secondo luogo perché finalmente lo Stato si è fatto carico di tale questione dopo decenni di colpevole assenza, sancendo dunque il passaggio da un’accoglienza esclusivamente demandata all’iniziativa privata, ad una che prevede un ruolo importante per l’associazionismo di terzo settore, ma all’interno di un quadro istituzionale strutturato.
Dunque, in un mondo di avanzata globalizzazione caratterizzato da frequenti e sempre più intensi fenomeni migratori, la conoscenza di questo sistema è fondamentale anche per gli amministratori locali.
Un po’ di storia. Dal punto di vista legislativo e programmatico, per decenni l’Italia non ha avuto una propria politica di immigrazione, né tantomeno una politica di accoglienza ed asilo. Se gli sporadici eventi migratori venivano regolati a colpi di sanatorie, l’istituto dell’asilo era gestito con gli strumenti forniti dalla Convenzione di Ginevra e seguendo le linee guida dettate dall’articolo 10 della Costituzione.
Le cose parzialmente cambiarono con l’avvento degli anni ’90: le ripetute crisi migratorie che caratterizzarono questo decennio, provenienti soprattutto dai Balcani e dal Corno d’Africa, spinsero il legislatore a promulgare le prime leggi organiche in materia d’immigrazione (legge Martelli del febbraio 1990 e soprattutto Testo Unico del 1998). L’asilo politico veniva per la prima volta regolamentato, in maniera assai superficiale ed in termini tutt’affatto vincolanti, dalla legge Martelli, e successivamente anche dalla c. d. legge Puglia, di carattere emergenziale.
Durante l’ultimo decennio del secolo scorso, i fenomeni migratori furono gestiti utilizzando gli strumenti forniti dalla legge Martelli con l’ausilio di provvedimenti emergenziali, fino all’entrata in vigore del Testo Unico nel 1998, tramite il quale venne riordinata e resa più organica la materia. Nel frattempo l’istituto dell’asilo politico, e di conseguenza lo status di rifugiato, continuavano ad essere regolamentate in maniera inadeguata ed insufficiente dal legislatore nazionale, e questo si rifletteva sulla qualità del sistema di accoglienza italiano. Non è un caso che a cavallo degli anni 2000 l’Italia risultasse ultima, insieme a Portogallo e Spagna, per numero di rifugiati ospitati sul proprio territorio con cifre inferiori alle 10.000 unità, mentre Paesi non certo popolati come il nostro, quali Svezia ed Olanda, davano rifugio a ben più di 100.000 persone.
Con l’inizio del nuovo millennio si iniziò a parlare di asilo politico in maniera indipendente rispetto al tema migratorio, ed infatti fu proprio in quel periodo che fiorirono le prime iniziative autonome di accoglienza riservate a richiedenti asilo e beneficiari di protezione internazionale.
Il Piano nazionale Asilo. Il primo passo venne effettuato da ONG, associazioni e Comuni italiani riuniti in associazione (ANCI): nel 2000 questi soggetti promossero un protocollo d’intesa firmato da ANCI, UNHCR e Ministero dell’Interno volto a creare un’unione integrata di interventi volti all’accoglienza e all’appoggio dell’integrazione, regolati tramite un Piano Nazionale Asilo (PNA). Il PNA era di fatto il primo embrione di accoglienza per richiedenti asilo in Italia e prevedeva il coinvolgimento delle istituzioni centrali e periferiche, secondo una condivisione di responsabilità tra Ministero dell’Interno ed enti locali. L’esperienza del PNA ed altre simili, come ad esempio Azione Comune, realizzate tra 1999 e 2001 convinsero il governo di allora ad istituzionalizzarle tramite inserimento all’interno della legge 189/2002 c.d. Bossi – Fini. Il nuovo istituto venne denominato Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati o SPRAR, ed il PNA è ancora lo strumento di coordinamento e programmazione utilizzato per gestirlo.
A partire dal PNA approvato nel 2014 il sistema SPRAR sta gradualmente diventando il modello di riferimento nazionale per l’accoglienza di profughi e richiedenti asilo. Lo SPRAR nacque, così come raccomandato dalle proprie Linee guida, in virtù di un modello di accoglienza sempre più diffusa sul territorio e volta ad evitare i conglomerati ricettivi concentrati in pochi centri urbani, o peggio, appena al di fuori di questi. Questo tipo di sistema era, ed è tutt’oggi, studiato al fine di favorire un’equa distribuzione territoriale degli accolti che garantisca al contempo elevati standard di accoglienza.
Un ruolo importante all’interno del sistema SPRAR è svolto anche dalle associazioni del terzo settore, le quali sono passate da avere un ruolo di supplente in un contesto di vuoto normativo e carenza di iniziative ad un ruolo che potremo definire di “partenariato privilegiato”. Altra importante caratteristica di questo sistema riguarda lo stimolo alla collaborazione fra i vari Enti locali che questa dinamica crea, la quale rappresenta così una esternalità positiva per gli Enti stessi.
La Rete. Questo tipo di modello è stato ideato come sistema integrato e multilivello. Integrato perché si vuole superare la visione di accoglienza come semplice sussistenza, tramite la dazione di vitto ed alloggio, ed infatti il sistema SPRAR prevede una serie di misure di orientamento e supporto legale e sociale, oltre alla previsione di percorsi individuali di inclusione ed inserimento socio-economico.
La gestione di questo sistema integrato è demandata ad una governance multilivello, frutto di una collaborazione fra Ministero dell’Interno ed ANCI, in ossequio al principio di sussidiarietà.
In particolare, il coordinamento del sistema è affidato al Servizio Centrale, istituito dal Ministero dell’Interno ed affidato in convenzione all’ANCI; i principali compiti del Servizio Centrale riguardano informazione, promozione, consulenza ed assistenza tecnica agli Enti locali, ma anche monitoraggio sulla presenza di richiedenti e titolari di protezione internazionale sul suolo patrio.
Operativamente, invece, la gestione del sistema è in mano agli Enti locali su base volontaristica: secondo dati forniti dal sito web del Sistema, nel mese di luglio 2018 risultavano attivi 877 progetti, promossi da 754 enti locali (di cui 653 Comuni, 19 Provincie e 28 Unioni di Comuni), per un totale di quasi 36.000 posti disponibili, compresi quelli per minori non accompagnati e per persone affette da disagi mentali o disabilità. Si veda la tabella a lato, tratta dal sito dello SPRAR, per una situazione più dettagliata della distribuzione territoriale dei progetti.
La crescita del sistema SPRAR. I numeri risultano in costante crescita: secondo l’ultimo rapporto annuale SPRAR, nel 2016 i progetti attivi risultavano 652, per un totale di circa 26.000 posti; in entrambe le categorie c’è stato un incremento di oltre il 30% in meno di 2 anni. La tabella seguente rende bene l’idea del trend di crescita che sta interessando il sistema SPRAR negli ultimi anni, e certifica la sempre maggiore centralità, finalmente anche effettiva, ricoperta all’interno del sistema di accoglienza italiano.


Il sistema SPRAR è una rete di Enti locali, i quali, con l’ausilio e la collaborazione delle realtà del terzo settore, garantiscono su base assolutamente volontaria la già citata accoglienza integrata. Obiettivo del sistema SPRAR è la presa in carico del singolo individuo, in maniera necessariamente temporanea ed in funzione del perseguimento di un percorso di acquisto della propria autonomia, in modo da integrare richiedenti asilo e coloro che usufruiscono di protezione internazionale all’interno del tessuto sociale italiano. Lo SPRAR non vuole essere un circuito assistenziale, ma un programma di accoglienza di secondo livello che facilita l’emancipazione e la ricostruzione di un progetto di vita della persona nel Paese di arrivo, ma anche nel Paese di origine, a partire dal momento in cui le condizioni in tale contesto ritornino ad essere opportune.
Questo tipo di integrazione riguarda anche l’offerta di servizi alle categorie sopracitate, e rappresenta altresì un’esternalità positiva per l’intera comunità, dato che il rafforzamento o la creazione di nuovi servizi al cittadino rappresenta giocoforza un effetto secondario assolutamente interessante.

I servizi. Il periodo di accoglienza presso il Paese ospitante è sicuramente un momento decisivo nel futuro della persona che un giorno uscirà dal centro di accoglienza, e questo è particolarmente vero quando parliamo di individui che hanno subito traumi importanti. Durante questo percorso, il raggiungimento e consolidamento della propria autonomia socio-economica, anche attraverso la comprensione del territorio di accoglienza, il recupero di conoscenze e competenze già interiorizzate e l’acquisizione di nuove skills, già a partire dalla fase di accoglienza permette all’ospite del centro di poter contribuire alla crescita della società di inserimento anche a partire dal momento della sua uscita dal circuito dell’accoglienza.
Per riuscire in questo difficile compito, ogni singolo programma SPRAR offre diversi servizi; ovviamente non tutti garantiscono le stesse prestazioni, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, ma alcuni di questi servizi vengono offerti con maggiore frequenza. I più erogati sono i servizi di assistenza sanitaria, mediazione linguistico – culturale, assistenza sociale, i servizi per favorire la ricerca di lavoro ed abitazione, le attività multiculturali ed i servizi di orientamento e consulenza legale. In particolare, negli ultimi anni si è riscontato un significativo aumento per quanto riguarda i settori della mediazione linguistico – culturale, l’assistenza sociale e la consulenza legale.
Nella tabella 2 è raffigurata la percentuale di budget che la normativa attuale prevede sia seguita nella programmazione di ciascun progetto.

Infine l’apprendimento della lingua italiana risulta essere requisito assolutamente importante, al punto da poter assurgere al livello di pre-requisito. I dati confermano questa affermazione: si stima che circa l’85% dei programmi SPRAR attualmente attivi preveda almeno 10 ore settimanali di lezione di italiano per i propri ospiti.

Finanziamento. Lo SPRAR trae le sue risorse finanziare dal FNPSA, il quale si occupa della redistribuzione delle risorse stanziate sia a livello nazionale che tramite risorse europee. Tali risorse vengono erogate agli Stati parte dell’Unione tramite il FAMI (Fondo Asilo Migrazione ed Integrazione) 2014 – 2020; quest’ultimo è uno strumento finanziario istituito tramite Regolamento UE n. 516/2014 con l’obiettivo di promuovere una gestione integrata dei flussi migratori sostenendo gli aspetti principali del fenomeno, richiamati anche nell’acronimo. Il Fondo FAMI ha riunito in unico strumento ciò che nella precedente programmazione europea era stato svolto dai fondi FEI (Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi terzi), FER (Fondo Europeo per i Rifugiati) e RF (Fondo Europeo per i Rimpatri).
Gli obiettivi che il legislatore europeo si prefigge di raggiungere tramite il Fondo sono essenzialmente quattro:
• rafforzare e sviluppare tutti gli aspetti del sistema europeo comune di asilo, compresa la sua dimensione esterna;
• sostenere la migrazione legale verso gli Stati membri e promuovere l’integrazione degli immigrati;
• promuovere strategie di rimpatrio eque ed efficaci, volte soprattutto a scoraggiare l’immigrazione irregolare;
• migliorare e promuovere la solidarietà e la ripartizione delle responsabilità fra gli Stati membri.

Seguendo queste linee guida, il documento pensato per portare avanti gli obiettivi strategici ed operativi, nonché per definire gli interventi da realizzare con le risorse finanziarie messe a disposizione è il Programma Nazionale (PN) FAMI.
Il programma di lavoro intende essere di durata pluriennale con effetti visibili nel medio lungo periodo.
L’autorità responsabile della gestione e del controllo del suddetto PN FAMI, nonché del corretto utilizzo dei fondi stanziati è il Dipartimento per le Libertà Civili e l’immigrazione. Le funzioni di verifica sono invece demandate ad una autorità di Audit indipendente designata tramite decreto ministeriale.
Per quanto riguarda la definizione della struttura organizzativa e le regole per la gestione, il controllo, il monitoraggio e la rendicontazione del Fondo, queste sono state definite nell’apposito Sistema di Gestione e Controllo, condiviso con la Commissione Europea.
Infine, l’intero processo di selezione, monitoraggio e controllo dei progetti finanziati dal fondo FAMI è gestito mediante la relativa piattaforma online.
Passando alle cifre in questione, la dotazione finanziaria prevista per il nostro Paese è di circa 387 milioni di euro, ai quali sono successivamente stati aggiunti oltre 37 milioni per finanziare operazioni di reinsediamento e ricollocazione ed altri 33 milioni per interventi a supporto dell’integrazione dei cittadini terzi e al rimpatrio; ovviamente, a queste cifre va aggiunto l’ammontare del cofinanziamento di origine statale, portando il totale a circa il doppio delle cifre sopra illustrate.
Entrando nello specifico, si può affermare che sono ammessi a presentare progetti in qualità di ente capofila esclusivamente Regioni ordinarie, a Statuto Speciale e Provincie Autonome. Ognuno di questi enti ha la possibilità di presentare un solo progetto, nel quale confluiscono tutti i progetti presentati dagli enti territoriali che insistono in ciascuna delle giurisdizioni degli enti capofila.
Le risorse finanziarie attribuite a ciascun ente capofila si dividono in un contributo fisso (di 200.000€ per ognuno) e di un contributo variabile calcolato in base al numero di residenti extracomunitari regolarmente residenti sul territorio dell’ente capofila e, in minima parte, dall’incidenza regionale dei posti di accoglienza complessivi della rete SPRAR.

Accesso ai fondi. Le modalità di accesso alla rete SPRAR, e quindi al corrispettivo finanziamento, sono state recente mente modificate dal decreto del Ministro dell’Interno 10 agosto 2016, il quale ha introdotto nuove modalità di accesso da parte degli enti locali alla rete dei progetti per i servizi di accoglienza dello SPRAR e nuove linee guida per il funzionamento dello SPRAR stesso.
Il decreto è una pietra miliare nel processo di organicità e di una più ampia diffusione in tutti i Comuni italiani della rete SPRAR, nel tentativo di superare l’attuale sistema duale (strutture temporanee e sistema SPRAR) di accoglienza.
I principali obiettivi del decreto riguardano la necessità di favorire la stabilità dei servizi di accoglienza integrata, semplificare le procedure per la prosecuzione e snellire le procedure di accesso degli enti locali al Sistema. Le più importanti novità introdotte sono riassumibili nella previsione di un sistema di accesso permanente e nuove modalità di funzionamento dello SPRAR.
Per quanto riguarda il sistema di accesso permanente, gli enti locali già titolari di progettualità SPRAR, a scadenza della stessa, potranno presentare domanda di prosecuzione; inoltre, gli enti locali potranno presentare nuovi progetti in qualsiasi momento dell’anno, i quali verranno esaminati da un’apposita commissione 2 volte l’anno.
Le nuove modalità introdotte, invece, prevedono 2 decorrenze annuali sia per le graduatorie dei nuovi progetti che per la prosecuzione di quelli già attivi, finanziamenti ministeriali fino al 95% del costo totale del progetto e la possibilità di sottoporre variazioni al servizio approvato, la previsione di una commissione permanente di verifica e di un revisore esterno di garanzia.
Come detto, per accedere al finanziamento è prevista una piattaforma online, alla quale ogni ente locale che intende accedere ai fondi si deve prima registrare e quindi accedervi, scegliendo l’opzione corretta.
Le domande possono essere presentate in due finestre, entro il 31 marzo ed entro il 30 settembre di ogni anno; le domande presentate verranno esaminate rispettivamente entro il successivo 1 di luglio e 1 di gennaio.
Gli enti locali che sono ammessi in graduatoria, ma non sono finanziabili per insufficienza di risorse, hanno accesso al fondo prioritariamente rispetto alla graduatoria del semestre successivo. Ogni progetto ha durata triennale, ma è possibile presentare domanda di prosecuzione entro i 6 mesi precedenti la scadenza.
L’ultimo step previsto da questa nuova procedura richiede la compilazione dei moduli predisposti sul sito e quindi successivamente allegare i documenti richiesti, conformemente a quanto previsto dal Capo I – art. 4 e successivi del già citato decreto.
Le novità introdotte e la procedura descritta sono state divulgate tramite vari mezzi di comunicazione, fra i quali anche un video.

Per informazioni più dettagliate sul funzionamento del sistema di accoglienza consulta il sito SPRAR. Si segnala, in particolare, la pubblicazione da parte del Ministero, in collaborazione con il Servizio Centrale SPRAR, di un manuale operativo per l’attivazione e la gestione di servizi di accoglienza integrata e di un manuale giuridico per l’operatore, realizzato in collaborazione con l’ASGI.

(a cura di Francesco Casella, Master in analisi, prevenzione e contrasto della corruzione e della criminalità organizzata – anno 2016 – Università di Pisa)

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