Dalle generazioni perdute allo squilibrio generazionale nel mercato del lavoro

Dalle generazioni in transito allo squilibrio generazionale nel mercato del lavoro

Dalle generazioni in transito allo squilibrio generazionale nel mercato del lavoroLo sviluppo economico di un territorio non può prescindere dalla componente più importante che vi insiste, ossia le persone. In particolare, l’invecchiamento della popolazione e gli sviluppi previsti nei prossimi decenni avranno un certo impatto sui conti nazionali: la parte di spesa pubblica più strettamente legata all’invecchiamento (pensioni, sanità e assistenza) registrerà un aumento, mitigato solo in parte dalla riduzione prevista per la spesa di istruzione e disoccupazione.

Dal punto di vista demografico, possiamo dire che il vecchio continente Europa è anche il continente vecchio. L’area europea si caratterizza, infatti, per un più intenso processo di invecchiamento della popolazione, tanto da renderla il continente più vecchio, non solo oggi ma per i prossimi decenni.

L’Italia, assieme alla Germania, è oggi il Paese più vecchio d’Europa. L’età media si è alzata ed è cresciuta la quota di anziani, a scapito della fascia più giovane e di quella in età lavorativa. La popolazione italiana ha un’età mediana di 45 anni (contro i 42 anni dell’UE28 e i 36 anni dell’Irlanda, il Paese più giovane), quando nel 1994 era di 38. Inoltre, dei quasi 61 milioni di residenti, il 21,7% ha almeno 65 anni (circa 19% la percentuale media in Europa), con punte fino al 28% in Liguria, che guadagna così il titolo di regione più vecchia d’Europa. Nell’arco dei prossimi 25 anni la quota di popolazione anziana si stima possa arrivare al 29% e salire al 30% nel 2060.

Sempre più anziani e meno bebè

Gli anziani in Veneto sono il 21,7% della popolazione, in linea con la media nazionale. Se per i prossimi decenni si prevede un incremento modesto della popolazione, circa il 14% da qui al 2060, maggiore invece sarà la crescita del numero di anziani (+50%) e ancora di più dei grandi anziani, ossia delle persone con almeno 80 anni, che nel 2060 saranno più del doppio rispetto a quanti sono ora (+133%).

Il processo di trasformazione demografica che vede aumentare il peso delle fasce di età più avanzate è dovuto a diversi fattori, ma principalmente all’effetto congiunto del contrarsi della natalità e dell’aumento della longevità, che, sebbene in modo non uniforme, hanno caratterizzato tutta l’Europa.

In Italia, nel 2014 i nati sono quasi il 13% in meno rispetto al 2008, e le stime per il 2015 non fanno che confermare questa tendenza, con un numero di nati che segna un nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia. In Veneto la differenza è anche più marcata: i bambini nati nel 2014 sono il 16,4% in meno rispetto al 2008. Il calo delle nascite nella nostra regione interessa in misura maggiore la provincia di Belluno e Rovigo; quest’ultima ha il tasso di fecondità più basso del territorio (1,16 figli per donna).

Meno donne e fecondità ridotta

La diminuzione del numero di nati dipende da diversi fattori, uno dei quali è strutturale. Negli ultimi anni, infatti, si sta concludendo la vita riproduttiva delle donne nate nella fase del baby boom di metà degli anni ’60 (nel 2010 hanno attorno ai 45 anni) e la riproduzione si affida alle generazioni successive di donne, che sono meno numerose: in Veneto tra il 2010 e il 2014 le donne in età fertile calano di 60mila unità.

Un altro fattore è legato al modello di fecondità, ovvero al numero medio di figli che ciascuna donna mette al mondo. Questo indicatore, che negli ultimi anni si affievolisce, ci dice che, oltre all’effetto strutturale di un contingente di donne meno numeroso, vi è un effetto specifico legato al fatto che mediamente ogni donna partorisce meno che in passato.

,Attualmente l’Europa, con una media di 1,54 figli per donna, vede una situazione diversificata in cui Francia, Irlanda, Svezia e Regno Unito sono i Paesi più prolifici (più di 1,80 figli per donna), mentre l’Italia, assieme ai Paesi del Sud Europa, la Germania e alcuni Paesi dell’Est, è tra i Paesi europei con i più bassi livelli di fecondità (1,35). In Veneto la situazione è leggermente migliore (1,39), ma tuttavia la tendenza è netta verso la diminuzione (nel 2010 era 1,5).

A colmare in parte la diminuzione del numero di donne in età fertile e la bassa propensione alla natalità delle donne italiane sono state finora le donne straniere, che però stanno rivedendo i propri comportamenti riproduttivi. Se, infatti, nel 2002 in Veneto le donne straniere hanno avuto in media 3,09 figli, nel 2014 il dato scende a 2,08 figli. Nello stesso anno, la fertilità delle donne venete è di appena 1,26.

Desideri di maternità non raggiunti

Anche lo spostamento della maternità verso età più avanzate contribuisce all’abbassamento della natalità. Oggi in Italia mediamente una donna partorisce a 31,6 anni e una donna veneta a 32. Riducendo il tempo fecondo disponibile, l’effetto è di non riuscire a concretizzare i desideri di maternità; il numero di figli che si desidererebbe avere è sopra il 2: la media Ocse è 2,27, per l’Italia è 2,01.

Ciò che colpisce maggiormente, dunque, non è tanto la bassa desiderabilità dei figli quanto la discrepanza tra il numero di figli desiderato e quello effettivamente realizzato. Tra i diversi fattori che possono incidere su questo aspetto, il più rilevante riguarda l’organizzazione del tempo nel mondo del lavoro. Nel nostro Paese, avere figli in giovane età costituisce ancora un ostacolo per le chances di realizzazione delle donne, tanto che in letteratura si parla di child penalty.

In Italia, nel 2014, ogni 100 donne occupate senza figli, si contano solo 77 madri lavoratrici con bambini piccoli (in Veneto sono 88). Inoltre, il tasso di occupazione delle donne con figli è, per tutte le età fertili, sistematicamente più basso di quello delle donne senza figli, lasciando in evidenza quanto poco il mercato del lavoro contempli la conciliazione familiare.

Ma l’invecchiamento della popolazione porta anche ad un invecchiamento della forza lavoro, con inevitabili ripercussioni sul mercato del lavoro e implicazioni economiche sulla sostenibilità del sistema pensionistico. Il progressivo sbilanciamento della struttura della popolazione verso le classi di età anziane rende critica la sostenibilità del sistema pensionistico, basato sul carico contributivo di una popolazione attiva che sarà sempre più insufficiente rispetto alla numerosità crescente di beneficiari di prestazioni assicurative per la vecchiaia.

Una popolazione attiva sempre più anziana

In meno di dieci anni l’indice di ricambio degli occupati che esprime il rapporto percentuale tra la fascia di popolazione occupata che sta potenzialmente per andare in pensione (55-64 anni) e quella che è appena entrata nel mondo del lavoro (15-24 anni) in Veneto passa dal valore di 97 registrato nel 2005, evidenziando quindi una situazione in cui i giovani occupati erano di più di quelli della fascia di età 55-64 anni, al valore di 127 del 2008 a quello di 277 del 2014.

Le due componenti dell’indice di ricambio sono cambiate in modo radicale in questi ultimi dieci anni, seguendo dinamiche divergenti: la componente anziana, al numeratore dell’indice, è fortemente cresciuta e quella giovanile, al denominatore, è significativamente diminuita. Dal 2005 al 2014 gli occupati veneti nella fascia d’età 15-24 anni sono diminuiti del 37% a fronte, invece, di una crescita della popolazione in questa età del 4,4%.

Questa debacle è dovuta alla crisi economica, alle difficoltà di trovare lavoro, in particolare per i giovani, e all’aumento dell’istruzione, infatti la minor disponibilità di posti di lavoro spinge i ragazzi a proseguire gli studi. D’altra parte, i cambiamenti normativi in materia pensionistica connessi ai problemi di sostenibilità finanziaria legati all’invecchiamento della popolazione e alla minore fecondità, tra cui l’innalzamento del livello minimo di età pensionabile, le raccomandazioni europee e la maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro hanno portato ad un aumento del numero di occupati 55-64enni: in dieci anni sono, infatti, aumentati del 78%.

In Veneto però il sistema pensionistico è più sostenibile

Dal confronto regionale, emerge, comunque, che la nostra regione ha un impianto più sostenibile di altri. Nel 2013, 100 occupati veneti devono, infatti, sostenere 63 pensionati contro i 72 del livello medio italiano, la terza quota più bassa fra le regioni.

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