Cos’è la sondocrazia

sondocrazia

sondocraziaOggi giorno, grazie alluso generalizzato dei media, si ricorre per i fini più disparati in molti campi (politica, ricerche di mercato, statistiche etc.) alla Sondocrazia. Facendo leva, infatti, sul ricorso diretto all’opinione pubblica mediante sondaggi, la Sondocrazia, che è figlia della tecnocrazia e della videocrazia, coinvolge direttamente il cittadino, invitandolo ad esprimere voti, pareri, opinioni etc. È sintomo di falsa democrazia perché, pur stimolando il potere di messaggio dei singoli invitati alla partecipazione attiva nonché ad esprimere determinate scelte politiche al di fuori dei canali tradizionali (garantiti e pluralistici), cela il recondito scopo di fungere da persuasore occulto nei confronti degli intervistati. La Sondocrazia influenza decisivamente le scelte collettive per ottenere illusori risultati plebiscitari e spesso predilige il terreno corporativo e demagogico, più vicino agli interessi dei singoli, per poter espandere surrettiziamente la sua forza, acquistare credibilità e legittimare i suoi risultati in un più ampio disegno «mediatico» di dominio sulle masse. Negli ultimi anni siamo passati dalla tecnocrazia e “videocrazia” berlusconiana alla “Sondocrazia“. Una falsa democrazia in cui le cose da fare non coincidono con quelle migliori per il Paese ma con quelle desiderate mediante sondaggi dalla maggioranza dell’opinione pubblica. Programmare in un arco lungo, iniziando con decisioni eventualmente impopolari, diventa difficilissimo.

Sondocrazia e Politica: Si ragiona per sondaggi non per voti

La deriva “sondocratica”

I partiti politici chiedono di conoscere stabilmente le opinioni dei cittadini, le loro priorità e aspettative, i giudizi sull’operato del governo e dell’opposizione, l’immagine degli esponenti politici. Soprattutto chiedono di “misurare il consenso”. Ecco quindi la corsa dei politici a manipolare ogni fatto per mostrare coincidenza tra la propria opinione e quella più diffusa nel Paese. Una campagna elettorale permanente. Un autoinganno.

La politica rinuncia alle grandi scelte e si affida ai sondaggi

“La “sondocrazia” individua una dimensione nella quale variamente si mescolano messaggio, consultazione e decisione. Si sa che il “padre” dei sondaggi, George Gallup, era stato mosso all’origine da un intento ben diverso: fare in modo che nell’intera nazione potesse operare il modello di democrazia diretta che, nella tradizione statunitense, è legato all’esperienza dei town meetings del New England. Ma questa ipotesi, riferita ad una realtà ormai profondamente innervata dalla logica rappresentativa, assumeva un immediato significato polemico. Proprio Gallup sosteneva esplicitamente che la maggioranza dell’opinione pubblica, e non quella parlamentare, dovesse essere considerata come the ultimate tribunal per le questioni politiche e sociali. I limiti di quella impostazione, infatti, divennero ben presto evidenti mentre, invece, si rivelava l’utilità immediata dei sondaggi soprattutto per le ricerche di mercato, e via via si manifestava la loro attitudine non solo a misurare la temperatura dell’opinione pubblica, ma pure a manipolarla. Al tempo stesso, il diffondersi dei sondaggi mutava profondamente il modo d’intendere e percepire l’opinione pubblica, i cui atteggiamenti venivano ormai espressi solo attraverso numeri. E, potendo efficacemente condensare i sentimenti politici in simboli numerici, la pubblica opinione è divenuta una merce. L’ampliarsi continuo del ricorso ai sondaggi è anche conseguenza delle possibilità offerte dalle tecnologie della raccolta e del trattamento delle informazioni, che hanno favorito la riduzione del campione necessario per ottenere rilevamenti affidabili, la crescita della sua rappresentatività, il restringersi dei margini d’errore. Si giunge così al massimo di artificialità nella individuazione del sovrano, risolto integralmente in una costruzione statistica e demoscopica. L’accento posto sul risultato identico (o quasi) tra sondaggio ristrettissimo e manifestazione universale del voto non può celare il fatto che, seguendo questa via, si giunge alla negazione della democrazia come processo comune e diffuso di comunicazione, apprendimento, confronto. Anche se si guarda al sondaggio come al punto d’arrivo di un processo sociale, non si può ignorare che proprio a quel punto scatta un meccanismo di esclusione della quasi totalità dei cittadini, che restringe drammaticamente il demos e fa emergere soltanto gruppi ristretti abilitati a parlare per tutti. Viene in tal modo del tutto delegittimato il momento elettorale, tradizionalmente inteso come fatto riassuntivo della sovranità popolare, al cui posto si ritrovano tecniche caratterizzate da una istituzionale riduzione della composizione del sovrano. Vero è che la riduzione del sovrano, attraverso strategie deliberate o per effetto di particolari condizioni politiche, è fenomeno tutt’altro che sconosciuto. Basta pensare alle varie forme di riduzione del suffragio, agli ostacoli opposti all’esercizio del diritto di voto (ad esempio, con l’obbligo della registrazione preventiva), alle situazioni in cui l’astensionismo supera largamente la percentuale dei votanti. Ma il ricorso alla tecnica del campione opera una sostituzione qualitativa di un soggetto diverso al posto del corpo elettorale. Una ulteriore trasformazione qualitativa deriva dal fatto che il sondaggio permette un ricorso alla ‘consultazione’ dei cittadini con caratteristiche di rapidità e frequenza finora impensabili per qualsiasi tipo di consultazione elettorale. Ma questa è una constatazione che non autorizza confusioni tra la possibilità di forme continue di rilevazione delle opinioni e la diffusione delle forme della democrazia o l’avvio di una vera e propria democrazia diretta. Vero è che i sondaggi possono consentire rilevazioni puntuali e sempre aggiornate di bisogni e tendenze, così permettendo di evitare scarti troppo forti tra classe politica ed opinione pubblica e di dare risposte rapide a domande reali. Al tempo stesso, però, si può concretamente determinare una difficoltà crescente per la pianificazione a lungo termine e, più specificamente, per le decisioni impopolari. Infatti, l’immediata registrazione delle reazioni dell’opinione pubblica può tradursi in reazioni di indifferenza (e quindi in mancanza di sostegno) per decisioni destinate a produrre effetti lontani nel tempo; e, soprattutto, in reazioni di ostilità per decisioni destinate ad incidere negativamente sugli interessi di questo o quel gruppo. La sondocrazia, in altri termini, altera i ritmi di un sistema nel quale la democrazia rappresentativa, con le sue verifiche elettorali distanziate nel tempo, consentiva di metabolizzare le decisioni impopolari (che, non a caso, ancora si consiglia di prendere all’inizio del mandato o d’una legislatura) e di rendere percepibili gli effetti delle politiche a lungo termine. Rischia così di diventare stabile un fattore finora considerato come un elemento di turbamento del corretto funzionamento del sistema, quella corsa verso provvedimenti capaci di far guadagnare il consenso dei gruppi più diversi che si scatena alla fine d’ogni legislaturanell’imminenza delle elezioni. Volendo azzardare un paragone, si possono ritrovare qui i tratti di un fenomeno che si manifesta nel sistema imprenditoriale, dove la propensione di molti investitori per i rendimenti a breve rende più difficili le politiche di pianificazione destinate a dare profitti a scadenze più lontane. Più in generale, si deve ricordare che le tecnologie elettroniche rendono sempre più agevole il ricorso a sondaggi frequenti e generalizzati. Si sta così determinando un generale spostamento d’attenzione dall’occasione elettorale (singola e periodica) ai sondaggi (molteplici e ripetibili in qualsiasi momento). Ma la sostanziale prevalenza che finirebbe con l’essere accordata ad un momento non formalizzato, il sondaggio, rispetto ad uno formalizzato, l’elezione, inciderebbe sulle modalità di funzionamento dell’intero sistema istituzionale: basta riflettere sulla crescente dipendenza dei decisori politici proprio dall’esito dei sondaggi. E la ripetizione dei sondaggi, soprattutto se si arriva a forme di parziale loro istituzionalizzazione, apre le porte ad una sorta di “contratto sociale continuo“, ad un “elettrocardiogramma permanente” dell’opinione pubblica, destinato ad incidere sulle modalità della partecipazione popolare e sul ruolo dei rappresentanti eletti e a rendere sempre più drammatico l’eventuale contrasto (o anche il semplice scarto) tra delibere dei corpi rappresentativi e risultati dei sondaggi. La legittimazione degli eletti risulterebbe comunque incrinata. Da tutto questo si può dedurre che ai sondaggi si deve ormai guardare non come ad una tecnica complementare, ma come ad una istituzione a sé. Non si pensi, tuttavia, ad una scissione tra mondo dei sondaggi e mondo del voto tradizionale. Si tratta di misurare “l’influenza degli strumenti di misurazione su quanto viene misurato”. Sondaggi e previsioni demoscopiche, infatti, creano una sfera metapolitica, dove si produce uno sdoppiamento tra cittadino ed elettore, che contempla la sua immagine proiettata dai diversi mezzi d’informazione e prende poi le sue decisioni proprio su questa base. Il “surrogato elettronico” dell’elettorato tende a divenire preponderante. Si trascorre così dalla democrazia rappresentativa alla democrazia “delle opinioni” o “dell’ascolto”. Con un effetto di inganno, e di autoinganno, nella registrazione delle preferenze e nella formazione dell’agenda politica sulla base delle indicazioni dei sondaggi. Qui, infatti, torna un tema classico della democrazia diretta, analizzato in particolare con riferimento al referendum: chi sceglie tema, modalità e tempi del sondaggio, quali sono i criteri per la selezione del campione? Sono proprio queste le scelte destinate ad influire sul risultato stesso del sondaggio e, di conseguenza, sull’immagine dell’opinione pubblica che esso fornisce, e sulla formazione dell’agenda politica. In definitiva, il sondaggio può divenire, da una parte, non il mezzo per la registrazione di una opinione, ma per la sua formazione o modificazione; e, dall’altra, uno strumento capace di attribuire un forte potere di costruzione proprio dei riferimenti con i quali l’opinione pubblica è poi chiamata a confrontarsi”. (Estratto di: Stefano Rodotà – “Iperdemocrazia.” Editori Laterza, 2004)

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