Con Maradona se ne va l’ultima incarnazione del calcio “scorretto”

Niente a che vedere con i nostri Leo Messi, Cristiano Ronaldo, Zlatan Ibrahimovic. Campioni perfetti, anche troppo

Con Diego Armando Maradona va via anche una chiara idea di calcio. Un’idea non corretta e non professionalizzata fino all’asfissia. Diciamocelo pure: uno come lui, oggi, non lo farebbero tesserare neanche in serie D. Irregolare, incostante, capopopolo e guaglione. Niente a che vedere con i nostri Leo Messi, Cristiano Ronaldo, Zlatan Ibrahimovic. Campioni perfetti, anche troppo. Modelli di professionalità costruita giorno dopo giorno. Tra palestre, diete, massaggiatori, cilcli del sonno cronometrici e terapie del ghiaccio. Inutile fare confronti sui numeri o sulle capacità tecniche di ogni di loro, non è ora. C’è però nostalgia di quel calcio: bello perché imperfetto e che aveva come emblema un’uomo che in un modo o nell’altro è stato vittima dei suoi vizi e delle sue debolezze. Ma forse anche per questo è stato amato dai tanti che lo hanno incrociato.  No, nel mondo di oggi non c’è spazio per tipi come lui. Troppo grande, troppo imprevedibili. Troppo fiero. Troppo sbagliato. Ma allo stesso tempo vincente. Ed è questo che manda in bestia gli ingegneri del calcio moderno. Non c’è spazio per quel numero 10 sulle spalle portato come nessuno mai. Guardate le interviste a bordo campo dei numeri dieci attuali: tutti tra le righe, tutti a ripetere le stesse medesime formule dettate dagli uffici stampa. (“Dobbiamo lavorare durante la settimana” “Dobbiamo affidarci alle parole del mister” “Bla bla bla”). Tutti a biascicare fair-play. Troppo moralismo. No, quello no: non sarebbe in grado di contenere tutta l’energia sprigionata da una personalità come quella di Maradona e trasformarla in un simbolo. In un’icona. Da una galassia pallonara che resta allibita perché un calciatore prende una multa con l’autovelox è impossibile che provenga un altro come lui. Per questo Diego, seppur nella suo essere problematico, è e resta il più grande. 

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