Brexit, cosa c’è dietro alle richieste di Cameron?

Brexit, cosa c'è dietro alle richieste di Cameron?

Brexit, cosa c'è dietro alle richieste di Cameron? Lo scorso 10 novembre il primo ministro inglese David Cameron ha scritto una lettera al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. Nella lettera, lunga sei pagine, Cameron ha chiarito quali siano le richieste del suo paese per rimanere all’interno dell’Unione Europea. Il Regno Unito vorrebbe strappare quattro importanti privilegi, ottenendo una sorta di deroga ai trattati istitutivi dell’Unione Europea. Non sarebbe certo una novità: già in passato il Regno Unito ha infatti rinunciato a Schengen avvalendosi della clausola di opt out (rinuncia), e rimanendo di fatto fuori dal trattato sulla libera circolazione delle persone e delle merci. Oggi, in sostanza, è possibile circolare sul territorio inglese liberamente, previo il controllo alle frontiere.

Se le richieste di Cameron fossero accettate in toto, in futuro andare a vivere e a lavorare a Londra sarebbe molto più difficile. Dei quattro punti presentati da Cameron a Tusk, il più ostico e il meno trattabile è quello del libero accesso da parte dei cittadini comunitari al generoso welfare britannico. Tra questi i sussidi i più invisi ad alcune frange della popolazione sono le indennità di disoccupazione, ossia gli aiuti economici che il Regno Unito concede ai suoi residenti quando perdono il lavoro. Anche agli stranieri. Cameron ha recentemente divulgato delle stime su questo fenomeno: sarebbero più del 43 percento gli stranieri che nei primi quattro anni di residenza nel Regno Unito avrebbero usufruito di questi aiuti. Molti. Anche se nel divulgare le fonti di queste stime Cameron è stato molto vago, e molti esperti hanno epresso perplessità sulla veridicità e sulla fondatezza di questi numeri.

Quello dell’immigrazione è e rimane uno dei problemi politici più sentiti nel Regno Unito. Tra le forze politiche più feroci c’è l’Ukip, il partito euroscettico e xenofobo, che fa della lotta alle istituzioni e alla burocrazia europa così come dell’immigrazione la madre di tutte le battaglie. Le parole di Nigel Farage, il leader di Ukip, si sono tramutate in successo alle elezioni europee del maggio del 2014. Durante quella tornata elettorale l’Ukip ha ricevuto il 26 percento dei voti, eleggendo 24 europarlamentari, poi confluiti in un gruppo assieme al Movimento 5 stelle. Per frenare questa escalation di malumori durante la passata legislatura Cameron ha deciso di inasprire i criteri e le tempistiche per accedere allo stato sociale britannico. Dal primo gennaio del 2014, infatti, per ottenere le 57 sterline a settimanali previste dalla legge (circa 80 euro) deve trascorrere un periodo di disoccupazione di almeno tre mesi, si deve dimostrare di esser realmente alla ricerca di lavoro o di esserne impossibilitati per ragioni molto gravi e si deve di parlare un inglese fluente. Questa misura è stata inasprita soprattutto a seguito dell’esodo di massa degli ultimi anni dei giovani, soprattutto dell’europa dell’est, nelle maggiori città inglesi. Una situazione che sarebbe peggiorata nel 2014, quando sono entrati nell’area Schengen la Bulgaria e la Romania.

Inoltre, prima di esser rieletto a premier lo scorso 7 maggio, Cameron ha promesso e poi mantenuto l’impegno di indire un referendum sulla permanenza nell’Unione Europea. Per i più una concessione alle frange più euroscettiche del suo partito e dell’opposizione. La data ufficiale della consultazione non è stata decisa: si sa che si terrà prima della fine del 2017. Qualcuno pronostica anche a margine della prossima estate. Cameron vorrebbe escludere l’ipotesi di uscita dall’Unione e arrivare all’appuntamento con il referendum con in mano una serie di concessioni da parte di Bruxelles, che ne frenino il malcontento diffuso tra la popolazione e che aprano ad una nuova stagione dei rapporti tra Unione Europea e il Regno Unito.

Un recente sondaggio della Ipsos Mori ha evidenziato il più alto malcontento dei britannici nei confronti dell’Unione Europea degli ultimi tre anni. Un fenomeno cresciuto del 27 percento solo negli ultimi tre mesi, da quando cioé il secondo governo monocolore dei conservatori guidati da Cameron si è insediato. Allo stato attuale, sempre secondo questo sondaggio, il 52 percento dei britannici rimane comunque favorevole alla permanenza nell’Unione. Un altro sondaggio, un po’ più datato, condotto sempre dalla Ipsos Mori, ha chiarito quali siano motivi dietro ai malumori dei britannici nei confronti dell’Unione Europea: tra questi al 50 percento c’è l’immigrazione, sia quella extraeuropea che quella proveniente dagli altri paesi del Vecchio Continente. La questione immigrazione supera di gran lunga le motivazioni economiche (27 percento), la disoccupazione (17 percento) e quelle legate alla criminalità (13 percento).

Le altre tre richieste che Cameron ha rivolto a Donald Tusk sono molto più tecniche e legate alla politica e all’economia. Attualmente in Europa sono 19 i paesi che condividono l’euro come moneta unica. La Gran Bretagna, una delle economie più floride del Vecchio Continente, non è tra queste. Dal 2002 in poi, da quando cioè l’euro è entrato in vigore, gli stati dell’Eurozona hanno stretto alleanze sempre più sinergiche per favorirne gli interessi monetari. Questa superiorità emerge anche in seno al Consiglio Europeo, dove i rapporti di forza sono 19 a 28 a favore della moneta unica. Cameron teme che alla lunga questa supremazia possa sfavorire gli interessi britannici, favorendo invece quella dei paesi dell’Euro. Alla luce di tutto ciò Cameron vorrebbe garantire la sovranità nazionale attraverso il rafforzamento dei poteri dei parlamenti nazionali. Tra questi poteri quello di rispedire al mittente alcune decisioni prese dalle istituzioni europee, previa alleanza con altri parlamenti nazionali degli altri stati membri. Quanto dichiarato da Cameron è sostanzialmente in linea con le posizioni di Mark Carney, il presidente della Bank of England, la banca centrale inglese. Carney, che gestisce la politica monetaria della sterlina, ha recentemente ammesso che l’ingresso nell’Unione Europea abbia reso nel tempo l’economia inglese più dinamica. Oggi però Carney condivide con Cameron la necessità di preservare gli interessi dei paesi che non hanno aderito all’euro.

Tesi simili in Italia sono state affrontate dal segretario della Lega ed europarlamentare Matteo Salvini. Spesso Salvini, che gode di ampia fiducia tra i ranghi del centrodestra italiano e in ampie zone nel nord del paese, ha emesso giudizi negativi nei confronti della burocazia e della legislatura europea. La maggior parte delle battaglie riguarda il settore agricolo e quello dell’allevamento o della pesca: come ad esempio quello della misura minima consentita per la raccolta delle vongole in mare. Le regole comunitarie, infatti, impongono una taglia minima di 25 millimetri per ciascuna vongola, e prevede delle multe salatissime per chi venda, trasporti o trasformi (e quindi cucini) vongole più piccole dei 25 millimentri. A sostenere l’assurdità di queste regole c’è uno studio nato dalle esperienze dei migliori atenei italiani. Lo studio, coordinato da Corrado Puccinetti, uno dei massimi esperti in biodiversità, ha dimostrato che abbassando i parametri imposti da Bruxelles a 22 millimetri i raccolti incrementerebbero del 30 percento, e la tutela ambientale e la riproduttività dell’ambiente non sarebbe compromessa.

Il quarto punto della lettera di Cameron a Donald Tusk è il più semplice da applicare ma anche il più vago: in sostanza Cameron chiede che l’Europa sia sempre competitività e aperta ai mercati globali. Cameron, in linea con la tradizione liberista, vorrebbe aprire l’Europa ai mercati abbattendo il più possibile gli interventi dello stato. Da qui la necessità, espressa da Cameron, di accelerare l’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, con la Cina, con il Giappone e con i paesi del sud est asiatico. Anche il premier italiano Matteo Renzi si è recentemente pronunciato a favore di alcune posizioni espresse da David Cameron, ammettendo una comuità di visione sulla lotta alla burocrazia e sul desiderio un’Europa più efficiente.

Quali siano i possibili effetti in caso di Brexit sono molto difficili da pronosticare, e nessuno studio può essere veramente attendibile. Secondo l’ex presidente della Bundesbank Axel Weber, alla Gran Bretagna gioverebbe uscire dall’Ue. In un’intervista al quotidiano economico newyorkese “Wall Street Journal” Weber ha pronosticato in caso di Brexit due o tre anni di incertezza, indenni però dal punto di vista economico. Anche il prestigio e l’importanza rimarrebbe intatto: secondo Weber, Londra rimarrebbe il più grande centro finanziario d’Europa, e uno dei primi del mondo. Opposto, invece, il parere di Andreas Bronmett, uno degli attuali membri del comitato esecutivo della Bundesbank, la banca centrale tedesca. Bronmett pronostica conseguenze negative sia per la Gran Bretagna, sia per l’Ue. Tra quest’ultime le difficoltà per i paesi più deboli nel finanziare il prorpio debito pubblico, sulla scia di quanto avvenne nel 2011 con la crisi dei PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) e dell’Italia nel mercato del debito sovrano. In sintesi avrebbero problemi con lo spread.

La giornalista inglese Katherine Hope sul “Telegraph”, un quotidiano britannico di stampo conservatore, per definire il balletto del dentro o fuori dall’Unione che anima l’opinione pubblica britannica ha citato la canzone dei Clash “Should I stay o should I go”. La Hope riporta come attualmente quasi la metà dei beni e dei servizi prodotti in Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord venga esportato in Europa (il 44,6 percento). Secondo la Cbi, la confindustria inglese, circa il 70 percento delle oltre 190 mila imprese rappresentate ritiene che l’Unione Europea abbia avuto un buon impatto per i loro affari. Uno di questi, Richard Higgingbottom, un piccolo commerciante di carbone e combustibili di Northampton, cittadina a due ore da Londra, è convinto che in caso di scelta sbagliata al referendum ci potrebbero essere seri danni per l’economia. “Siamo una piccola impresa e non trattiamo direttamente con l’Europa. Ma credo sia meglio stare dentro all’Unione Europea” ha dichiarato Higgingbottom. “Qualora uscissimo – prosegue – ci dovremmo confrontare ugualmente con i parametri europei, senza però aver più la possibilità di incidere sul potere decisionale”.

Il prossimo Consiglio Europeo è previsto per il mese di dicembre, l’ultimo del 2015. In quell’occasione cominceranno ufficialmente i negoziati e verrà presentato un progetto sulle relazioni tra Ue e Gran Bretagna.

Patacchiola Armando Michel

/ 5
Grazie per aver votato!