A qualcuno piace «gay». Il dizionario del mondo omosex

Ricchioni

RicchioniQuanti termini spregiativi sono diventati stemmi da esibire: da poetae novi dell’antica Roma a Scapigliatura ed Ermetismo nell’Italia dell’Otto-Novecento. Processo che non avviene nel campo dei gusti amorosi omo, dove sopravvive la dizione scientifica «omosessuale», accanto all’inglese obbligatorio «gay», cioè gaio, allegro (perché gli etero sarebbero i tristi?). Ma le parole sono tante, anche lasciando stare profondità storiche latine e greche o i sinonimi stranieri. E nel cento-cinquantenario dell’Unità italiana è bello ricordarne un po’. Il giornalista Daniele Scalise per un periodo ha tenuto su Il Foglio un’indimenticabile rubrica dal titolo Froci, in cui c’era anche una dizionarietto di termini ed espressioni legate all’universo omo. In rete si trovano anche le ricerche, molto ben documentate di Giovanni Dall’Orto. Magari un giorno, in un’epoca meno pedagogicamente ingessata (attenzione attenzione, la pedagogia è da sempre la faccia tirata di quella signorina Rottenmeier e grandissima rompigliòna che si chiama Ideologia), diventeranno stemmi da esibire, modi variegati di abiti linguistici finalmente legati al gusto sovrano, e non alle idee.

Beppe Grillo e il «busone» Nichi Vendola

Sulla graticola per ultimo è finito Beppe Grillo, che nel suo comizio bolognese ha usato contro Nichi Vendola il termine «busone». Poi ha specificato in un’intervista al Corriere della Sera che lui usa termini relativi al luogo in cui si trova. Il suo più che un insulto sarebbe stato un omaggio linguistico, quindi. Fosse stato a Parma avrebbe detto «culàno». In realtà il termine «busone» ha qualcosa di insultante politicamente, dato il contesto. Identificare l’omosessuale come vuoto da riempire è un’abitudine di vari luoghi e dialetti. In toscana si dice «buco» o «bucaiolo», in Piemonte «cupio», che vuol dire botticella, recipiente. A Napoli «vasetto» o «lumino». Fatta la tara all’oscenità del discorso, il fatto è che Grillo ha stigmatizzato un vuoto politico. Ma lo sapeva?

I «PRÈNCULO» E I «DÀNCULO» DI ALBERTO ARBASINO. Si dice «frocio», per esempio. L’etimologia è complicata (forse deriva da una deformazione di francais, perché l’omosessualità si è sempre attribuita ad altri, tanto è vero che nella Germania del Trecento avere un rapporto omosessuale si diceva florenzen), ma da un certo periodo in poi a Roma, «frocio» equivaleva a «straniero», come testimonia questo stornello di inizio Novecento: «Fiore de pera/ sto frocio che a mia fija fa la mira/ ha voja de cenà l’urtima sera». Da straniero di fatto, a sessualmente diverso è solo un piccolo gradino metaforico. Da Roma la parola è stata introdotta nell’italiano corrente dal cinema del Neorealismo, negli anni Cinquanta. Dal neorealismo alla Dolce Vita: Alberto Arbasino ricorda che i ragazzi del popolo preda di dolcezza per uno come Pier Paolo Pasolini, quelli che facevano il bagno in Tevere, si chiamavano «ragnetti». Da parte sua Arbasino in Fratelli d’Italia usa un’ellissi creativa, e precisa: divide i froci in «prènculo» e «dànculo».

Occhiofino, finocchia e il nazi Arschficker

«Finocchio», poi è un mistero ancora più grande, anche se l’inversione «occhiofino» si capisce bene. La leggenda metropolitana vuole che i roghi in cui venivano bruciati gli omosessuali nel Medioevo fossero cosparsi di finocchi per alleggerire l’odore di carne bruciata. Falso: sui roghi non si buttavano erbe aromatiche. Il finocchio è anche cavo, e questa potrebbe essere una ragione. Poi viene usato come spezia per farcire, per esempio, le salsicce. In questo senso si usa la parola «infinocchiare». Si distoglie l’attenzione con gli aromi. Ed esisteva una maschera popolare chiamata Finocchio, imbroglione e mezzano. Insomma l’ambito di significati gioca sull’ambiguità. Ma quando un finocchio è passivo, a volte si chiama «finocchia». E visto che siamo in tema di persecuzioni, ricordiamo che nei lager nazisti gli omosessuali portavano la lettera A come «Arschficker, scopatore di culo».

IL MITO DELL’OMOSESSUALE MEDITERRANEO. Il napoletanissimo «ricchione» poi deriva forse da hircus il caprone libidinoso, come si trova descritto nei bestiari antichi. Ma come la mettiamo col gesto di toccarsi l’orecchio, che designa l’omosessuale in tutt’Europa almeno dal Cinquecento? Probabile che fosse un segno d’intesa che gli omosessuali, in epoche di coming out inesistente, si facessero, come dire: «Permetti una parola in privato?». Napoletana è la divisione tra «feminiello» e «omm’i mmerd», ovvero il travestito e il suo partner. Infinite le descrizioni letterarie e infiniti i reportage fotografici. Così come era perfetto l’assorbimento sociale dell’omosessualità tra i popoli del Mediterraneo. I femminielli avevano posto in chiesa e funzioni in processione. L’omosessualità occasionale non era nemmeno menzionata, non per pruderie, ma perché si riteneva non contasse nulla. Anti ideologia perfetta. Meraviglioso poi l’«arruso» («garrusu» o «jarrusu») siciliano. Dall’arabo carùs, che sta per ragazzo giovane. E infatti in molte zone della Sicilia si dice «carùsi jamuninni», cioè: ragazzi, andiamocene. In Sicilia si usa anche il termine «puppu», polpo, immaginiamo per questioni di attaccamento. «Bardassa» o «bardascia» deriva dall’arabo bardag, giovane schiavo, che a sua volta deriva dal persiano hardah, schiavo. II significato ufficiale in italiano e anche in molti dialetti del Sud è oggi quello di monello, ragazzo scapestrato. «Checca», omosessuale effeminato, deriva da un vezzeggiativo di Francesca diffuso in molte zone d’Italia di cui esiste anche il maschile Checco. L’uso di un vezzeggiativo femminile ha ovviamente, quando riferito a un uomo, un’intenzione offensiva.

Ricchionesimo scientifico-etimologico

Poi ci sono neologismi, più o meno colti. «Uranista» (o «urningo»), per esempio è stato inventato nell’Ottocento dal militante omosessuale Karl Henrich Ulrichs, che lo prese da Platone. Nel Simposio si trova un grande elogio dell’omosessualità, e si viene a sapere che Afrodite Urania è la dea protettrice degli amori omosessuali. «Invertito» è la traduzione dell’espressione inglese «di tendenza invertita» (che a sua volta aveva tradotto il tedesco «sensibilità sessuale contraria») per opera del dottor Tamassia (1878). La stessa parola «omosessuale» è stata inventata nel 1869, ed è un misto tra greco omos e latino sexualis. Neologismo bruttarello e anche abbastanza ignorante, ma è la parola entrata nell’uso comune. E viene da appoggiare certe consuetudini di lingua meridionale che capiscono omo come uomo, e quindi al plurale inventano un esplosivo «uomini sessuali». E infatti c’è chi avrà o non avrà i famosi «amici gay», ma «uomini sessuali» lo siamo un po’ tutti di sicuro.

Bruno Giurato

Lettera 43

16 maggio 2011

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