Il biennio rosso. Autonomia e spontaneità operaia nel 1919-1920 – 1.1

Il biennio rosso. Autonomia e spontaneità operaia nel 1919-1920

L’accordo delle otto ore e la ripresa delle lotte operaie Il biennio rosso. Autonomia e spontaneità operaia nel 1919-1920

Il 1919 si annuncia come un anno assai agitato dal punto di vista delle vertenze sindacali, e ciò si spiega in quanto si è in una fase ascendente del ciclo economico: gli imprenditori guardano con ottimismo al futuro e sono disposti a fare delle concessioni. Ciò non significa che non vi siano nubi sull’orizzonte della economia nazionale: il carovita, le questioni connesse alla smobilitazione, il preoccupante dinamismo di taluni settori industriali e finanziari che si muovono con mentalità avventuristica e pericolosamente speculativa, sono tra i principali motivi di incertezza sul futuro 1. Inoltre c’è l’incognita del fermento rivoluzionario che gli avvenimenti di Russia, di Germania e d’Ungheria hanno prodotto tra gli operai e dell’ascendente che le soluzioni radicali possono acquistare tra le masse.

Proprio per questo però gli industriali sono disposti a concessioni molto ampie. Per la prima volta in Italia questa disposizione delle classi imprenditoriali si configura come un disegno inteso a instaurare con le organizzazioni sindacali rapporti non più di ostilità, ma di collaborazione 2.

La strategia degli industriali prevede un ristabilimento di rapporti cordiali coi sindacati che poggi sul riconoscimento delle organizzazioni sindacali all’interno e all’estero della fabbrica, sulla disponibilità a rivedere le tabelle salariali, le tariffe dei cottimi, l’orario di lavoro. In cambio si pretende però un periodo di tranquillità sociale che permetta di affrontare ambizioni programmi di ristrutturazione interna e di riorganizzazione produttiva. Il primo elemento cade senza il secondo, ma i padroni sono fiduciosi nella possibilità di una cordiale accettazione con la Confederazione del Lavoro. Inoltre essi provvedono a creare un organismo fortemente accentrato, la Confederazione Generale dell’Industria Italiana che concerti per l’innanzi la politica degli industriali in maniera da permettere la massima elasticità possibile nei mutamenti di tattiche che siano resi necessari dalle circostanze e dalla forza del’avversario 3.

Le prime vertenze riguardano, nel gennaio, quello che era il costo sociale più rilevante della smobilitazione,cioè i licenziamenti che seguono al ridimensionamento degli impianti in taluni settori 4.

Ma è la rivendicazione delle otto ore di lavoro che balza subito in primo piano, mentre le agitazioni degli impiegati e dei capi reparto costituiscono per lungo tempo lo sfondo minaccioso di una situazione che, nonostante le volontà delle due parti, diventava sempre più tesa. Il primo incontro importante per la soluzione della vertenza avviene il 10 gennaio 1919 e prosegue in tra laboriose sedute 5. Via via, agli operai della Fiat che hanno iniziato la vertenza si affiancano gli altri metallurgici e a questi tutte le altre categorie di lavoratori dell’industria. Ma fin dai primi incontri gli industriali si mostrano ben disposti: la concessione delle otto ore è data fin dal gennaio 1919 e la trattativa si prolunga per un altro mese solo per accordarsi sugli aumenti di paga avrebbero dovuto compensare proporzionalmente la diminuzione delle ore di lavoro 6. L’accordo completo su tutti i punti è infatti raggiunto il 20 febbraio 1919 con il concordato di Milano.

Tale concordato prevede: riduzione di orario da 60 e 72 ore settimanali a 48 ore, con adozione di tre turni di lavoro; mantenimento della paghe per 60 o 72 ore; aumento dei cottimi del 16%; remunerazione dei lavori ad economia al 30% per i manovali e al 40 % per gli specializzati; pagamento delle prime 2 ore di straordinario il 30% in più, delle 3 successive il 60% in più, per le 5 rimanenti il 100% in più; pagamento delle prime 4 ore festive il 50% in più, delle successive il 100% in più; pagamento delle ore notturne il 25% in più. Inoltre si stabilisce un nuovo regolamento per le Commissioni Interne ed è costituita una commissione paritetica per controllare gli indici del carovita 7 .

A fare le spese dell’accordo sono sopratutto gli operai della Fiat, coloro che pure avevano dato il via all’agitazione e il concordato integrativo dei quali ritocca l’accordo di Milano peggiorandolo in alcuni punti a causa delle migliori condizioni di partenza di questi operai. L’accordo Fiat prevede: lavoro continuato invece che a turni; aumento del 10% di cottimo; 50% della media di cottimo ai non cottimisti; 90% della media di cottimo a utensilisti, calibristi ed elettricisti; 60% ai manovali; pagamento della prima ora di straordinario il 25% in più, pagamento delle successive il 75% in più. Ma la parte più interessante è quella normativa. Per ciò che riguarda l’iter delle vertenze è abolito l’arbitrato e fissata una lunga procedura: in prima istanza si incontrano Commissione Interna e Direzione; se non si raggiunge l’accordo si demanda la questione al Consorzio Industriale e alla Federazione di categoria; se ancora non si raggiunge l’accordo, alla Confederazione dell’Industria e alla Confederazione del Lavoro. Soltanto dopo a livello nazionale non si è potuta comporre la vertenza, è << permesso >> agli operai di scioperare. Si conviene che la parte che passi all’azione senza aver compiuto tutto l’iter, sia sottoposta ad una forte multa. É previsto che le Commissioni Interne possano ricevere i reclami degli operai soltanto il sabato. Un rappresentante della Commissione presiederà (<< se sarà il caso >>) alla prove per definire i cottimi. Il concordato entra in vigore dal primo marzo 1919 e i padroni chiedono tre anni di tregua salariale per poter assorbire gli oneri connessi alla riduzione di orario. Bisogna dire che i sindacalisti si riservarono di approvare questo ultimo punto solo dopo che le assemblee operaie lo avessero ratificato 8. Ma di fatto, poi, esigendo in assemblea che si votasse su tutto l’accordo nel suo complesso e non articolo per articolo, resero vana questa riserva.

Si trattava, tutto sommato, di un accordo non vantaggioso per gli operai. Abbagliati dalla idea della conquista << storica >> delle otto ore, i sindacalisti non si chiedono come mai essa sia stata conseguita senza un solo giorno di sciopero. Accontentati largamente sul piano salariale, essi non si avvedono di aver troppo sacrificato sul piano normativo: Agnelli e Olivetti hanno provveduto a innescare una serie di trappole per far sì che la tregua salariale poggi su garanzie effettive. Saranno proprio alcune di queste trappole a scattare durante i fatti del marzo 1920, rendendo forte e poco attaccabile la posizione degli industriali dinanzi all’opinione pubblica.

Ma entrambi – sindacati e padroni – dovevano trovarsi di lì a poco dinanzi a un fenomeno non prevista e da nessuno dei due desiderato: l’insorgere di una ribellione operaia che ha la forza di mandare all’aria tutti i propositi di accomodamento che in quel periodo << delicato >> di ricostruzione economica sembravano necessari e auspicabili.

Le prime avvisaglie del nuovo fermento si hanno a partire dalla metà del marzo 1919. Per tutto un mese la Federazione Metallurgica e la Confederazione del Lavoro non si erano risparmiate sul piano propagandistico perché nono sfuggisse agli operai il significato << storico >> della conquista delle otto ore. A giorni alterni appariva sull'<< Avanti! >> un articolo o un trafiletto o una nota che inneggiava (spesso con accenti di vero e proprio lirismo) alla battaglia vinta dalle organizzazioni sindacali. La conquista delle otto ore era definita << il più grande traguardo concordato che sia stato stipulato in un paese del mondo >>, un passo avanti nella storia della civiltà  e una tappa decisiva dell’emancipazione operaia. Le mani – confessava un sindacalista – tremavano alla firma dell’accordo. Ora però bisognava << dimostrare agli industriali che si era  veramente degni di ciò che si era conquistato >>. Che era un invito non equivoco a stare tranquilli per un bel pezzo 9. I titoli di questi articoli sono sempre trionfalistici, la prosa ispirata e oscillante tra il linguaggio aulico e quello militaresco: emancipazione, civiltà, ecc., ma poi anche: battaglia, lotte, vittoria. Sotto questo torrente di proposizioni autoelogiative ci si aspettava che la classe operaia esprimesse senza riserve gratitudine per i suoi rappresentanti. Ma la realtà fu diversa. A Torino, il 22 febbraio 1919, in una riunione del Comitato di agitazione (costituito in occasione dell’importante vertenza) si mettono in luce << le parti non buone del Concordato >>. Si sarebbe dovuta poi tenere un’assemblea nel pomeriggio, che i dirigenti sindacali rinviano ad altro giorno. Ma una folla di operai affluisce ugualmente: Castagno e Colombino, due dirigenti della Federazione Metallurgica, sono quasi costretti a tenere il comizio. Essi parlano del Concordato e poi dell’amnistia per i compagni incarcerati durante la guerra, una delle rivendicazioni-cardine del Partito Socialista Italiano. La folla grida che l’amnistia non è la cosa più importante e che non bisogna accontentarsi del Concordato, ma pretendere di più dagli industriali 10. Questo malcontento è motivato dal fatto che gli operai Fiat si sentono << scarificati >> a vantaggio degli altri e quindi si presenta spesso con caratteristiche corporative. Ma altre volte esso è indirizzato ad una critica precisa della linea di condotta seguita dal sindacato.

Il 15 marzo, infatti, in gruppo di operai invia una lettera all'<<Avanti!>> che la redazione torinese pubblica quasi per intero 11. Si tratta di un documento eccezionale per la lucidità politica con la quale si affrontano i problemi del momento e si contestano punto per punto le tanto esaltate vittorie sindacali. Questo gruppo di sconosciuti operai dimostra di aver compreso molto di più dei sindacalisti il senso reale della conquista << strappata >> agli industriali. La lettera comincia col dissezionare l’accordo mostrando come esso sia in ogni sua parte svantaggioso per gli operai. Intanto la << vittoria >> principale, la riduzione dell’orario è illusoria, il padrone può imporre e di fatto impone gli straordinari. << Il lavoro straordinario non è obbligatorio, ma come può l’operaio isolato e senza forza rifiutarsi di eseguirlo? A che serve l’organizzazione se non ad imporre quelle condizioni che isolatamente non possiamo raggiungere? >>. L’orario continuato è una rovina dal punto di vista fisiologico e da quello dei rapporti familiari; il lavoro notturno sarebbe abolito per legge, ma in barba a questo lo si fa ugualmente. Si accetta supinamente la limitazione della libertà allo sciopero, si inceppa l’azione delle Commissioni Interne, si eliminano le << tolleranze >> di 10 minuti tanto faticosamente conquistate. E infine: i cottimi. Si accentua il loro carattere di oppressione << …quasi non bastassero i cottimi individuali per solleticare l’avidità dell’individuo >>. << Anche un premio si mette per chi meglio è più strozza i propri compagni di lavoro! Con una simile arma nella mani, scagliando gli uni contro gli altri, gli industriali non solo potranno rivalersi facilmente del piccolo aumento per la reintegrazione delle paghe, ma avranno un tale aumento di produzione che volendo potranno ridurre, anche di più di quel che non hanno fatto, le ore di lavoro. Questo hanno fatto i nostri dirigenti. Quale migliore occasione poteva presentarsi agli industriali per fare i propri interessi se non facendo credere alla massa operaio di aver conseguito una grande vittoria? >>.

In nessun altro momento e da parte di nessun altro, si era espresso con tanta nettezza un giudizio più appropriato sul rapporto tra concessioni salariali e aumento dello sfruttamento e sulla funzione in questa prospettiva dei guadagni di cottimo. In generale, anche da parte degli operai più coscienti, si erano chiesti sempre aumenti del cottimo di contro all’assenteismo dei sindacati su questo problema, quasi mai lo si era denunciato come uno strumento politico di divisione tra gli operai. In seguito vedremo che il rifiuto operaio dell’accordo in atto tra padroni e sindacati si esprimerà nei fatti, cioè con atteggiamenti di rivolta spontanea, spesso confusa e contraddittoria: qui abbiamo invece la consapevolezza precisa del fatto che ogni questione va affrontata da un unico punto di vista,d a quello dei rapporti di antagonismo insanabile che sussistono tra operai e Direzione. É questa consapevolezza che permette di risolvere per le spicce tutte le questioni bizantine che i riformisti ponevano sulla necessità di conquistare nella lotta degli obiettivi anche parziali e di compromesso. A questo tipo consueto di obiezioni Bouch e compagni (i firmatari della lettera) rispondono in anticipo:

<< La Federazione e la Confederazione del Lavoro hanno fatto l’interesse della classe avversaria; e poiché questo doveva essere giustificato da una tesi o dottrina, ecco Buozzi e Colombino affermare che fin dal Congresso dell’anno scorso fu stabilito nei nostri postulati di contribuire al rafforzamento e allo sviluppo delle industrie (e quindi degli industriali) anche a costo del nostro sacrificio. Noi affermiamo che vittoria c’è, piccola o grande, solo quando si intaccano gli interessi degli avversari. Il nostro compito quindi, ora come sempre, è quello di indebolire e rompere la compagine avversaria, di renderla in condizioni di vita sempre più difficili: non quello di rafforzarla. Noi sosteniamo che lo scopo di una organizzazione di classe è quello prima di tutto di battere laddove più forti sono le resistenze >>.

Ma la lettera non si limita ad esporre un elenco di critiche, si pure fondate e decisive, essa si conclude con delle proposte concrete: era necessario far ripartire la lotta con obiettivi più consistenti:

<< Dobbiamo avanzare queste richieste immediate e lottare per esse: 1) aumento di paga effettivo oltre la reintegrazione; 2) abolizione di ogni ora straordinaria; 3) cottimi collettivi a parità di paga; 4) un turno solo giornaliero con orario diurno; 5) funzione deliberativa per tutto quanto riguarda la disciplina della Commissione Interna: nessun ordine sia valido se non deciso ed approvato da questa >>.

Tale programma è << poca cosa >>, in specie se lo si inquadra in un momenti in cui << tutto il mondo proletario freme di spirito rivoluzionario nelle sue conquiste economiche e politiche >> tuttavia è il minimo che si deve conseguire.. Non si vogliono fare << postume critiche per ricominciare daccapo >>, si vuole solo fissare bene il punto di vista di chi scrive e << le responsabilità di chi a questo concordato ha posto la firma >>. Si è fiduciosi che tali osservazioni << serviranno da monito e verranno a scuotere gli interesse per le future battaglie >>.

Si trattava certo di un modo tutto particolare per celebrare la << vittoria >> delle otto ore. Ma ciò che colpisce di più è la risposta del Comitato Direttivo della Federazione Impiegati ed Operai Metallurgici apparsa sull'<< Avanti! >> due giorni dopo 12. E non tanto per le singole argomentazioni in essa sostenute, quanto per il tono chiaramente difensivo che si adotta a proposito di una vertenza per la quale erano state spese tante parole di esaltazione. Il più importante accordo << del mondo >> si trasforma, nella risposta dei dirigenti, in un compromesso buono in molte sue parti e non accettabile in altre: ma << di perfetto non c’è nulla al mondo >>. Impostata la discussione con questa logica, tutto il corpo delle contro-argomentazioni risulta prevedibile: per ogni singola critica si dice che era il massimo che si poteva ottenere e che  la controparte non avrebbe potuto concedere di più. E poiché ciò poteva apparire poco credibile, dato che l’accordo era stato stipulato praticamente senza un solo giorno di sciopero, il Comitato Direttivo è costretto ad esporre senza veli la sua ideologia << industrialista >>. Non ha importanza chiedersi se gli industriali si sono o no rafforzati. 144 una fatto anzi che dove ci sono più industrie gli operai stanno meglio; A torino meglio che a roma, a New York meglio che a Torino. Se le aziende si sviluppano – si osserva – << non è colpa nostra >>. Del resto – continuano gli autori della lettera sempre più imbarazzati – Bouch e compagni ritengono che una vittoria sia tale quando si indebolisce la compagine dell’avversario, ma se dovessero spiegare come e quando avviene sicuramente non saprebbero che cosa rispondere. << Noi andiamo sostenendo che mentre la borghesia si arricchisce economicamente sempre di più, politicamente si indebolisce >>. Limitazioni della libertà di sciopero? No, perché anche gli anarchici hanno accettato di non scioperare senza l’autorizzazione delle organizzazioni. << Bisogna decidersi: o per l’organizzazione o contro l’organizzazione >>.

Con questa intransigente affermazione si chiude la risposta del Comitato Direttivo, la quale, se non altro, dimostra quando indietro fossero i sindacalisti, anche sul piano dei problemi politici << astratti >> e generali, rispetto alla consapevolezza degli operai più coscienti. Ciò del resto si avverte dal fatto stesso che nelle settimane successive gli avvenimenti daranno ragione all’analisi della situazione compiuta da Bouch e dagli altri. La tregua che i padroni consideravano come condizione fondamentale della trattativa e che i sindacati avevano di fatto accettato, viene rotta per iniziativa spontanea della maestranze di varie aziende a non più di venti giorni dalla firma del concordato. E non che questi giorni siano trascorsi tranquillamente.

Molti padroni, in special modo delle piccole aziende, non possono tener dietro alla << grande >> politica di Olivetti e Agnelli, non sono pronti per concedere le otto ore, pertanto si ostinano a rifiutarle. La combattività operaia trova per il momento il suo sfogo nell’imporre con l’azione diretta l’applicazione del concordato. Inoltre nel settore siderurgico gli industriali avevano chiaramente fatto intendere che la riduzione di orario avrebbe comportato un ridimensionamento degli organici per la natura particolare di quella lavorazioni. I sindacati avevano rassicurato gli operai su l fatto che l’accordo non autorizzava nessun licenziamento; ma di fatto gli industriali cominciano qua e là a licenziare: bisogna ricominciare la lotta per impedire che questo avvenga 13. Ma anche laddove nessun motivo di contrasto ci sarebbe dovuto essere, le maestranze si dimostrano tutt’altro che soddisfatte.

Alla Fiat la tregua non dura un mese. Gli operai del reparto << automatici >> chiedono subito un aumento delle tariffe di cottimo 14. Si tratterebbe di una richiesta illegittima dal punto di vista sindacale, ma alla FIOM si preoccupano di farla comparire come compatibile con quanto già pattuito. Essa sostiene abilmente che gli operai di taluni reparti erano stati i più danneggiati dalle vecchie tariffe in uso durante la guerra, pertanto all’invito della Direzione di voler discutere sul problema del cottimo in generale risponde con accortezza che si tratta soltanto di esaminare la situazione di alcuni reparti e rifiuta di estendere la vertenza. Ma ancora più << illegittimo >> è quanto gli operai fanno appena si rendono conto che la Direzione intende portarla per le lunghe: senza attendere l’autorizzazione del sindacato essi scendono in sciopero, contravvenendo in tal modo alla norma che prevedeva tutta la laborioso procedura così minutamente elaborata tra padroni e sindacati. Per più giorni la Commissione Interna – a detta dell'<< Avanti! >> – << fece pressioni per indurre gli operai a continuare il lavoro e ad attendere l’opera dell’Organizzazione >>. Questa poi convoca il 22 marzo 1919 un’assemblea nella quale << i propositi della massa si manifestano in dichiarazioni esplicite di stanchezza nell’attendere una chiara volontà di agire >>. << Dovettero – continua il cronista dell'”Avanti!” – i dirigenti della FIOM e la stessa CI fare le più vive pressioni perché l’assemblea non proponesse senz’altro la decisione della battaglia in risposta all’atteggiamento degli industriali >>.

Ma dopo tre ore di discussione gli operai cedono. Si iniziano le trattative. La Direzione espone il suo punto di vista sul fatto che il recente concordato aveva ristrutturato i cottimi: dunque nulla si poteva eccepire. Colombino per la FIOM ribatte che quella revisione riguardava la ricompensa per la diminuzione di orario; ma vi erano dei reparti che fin dal periodo bellico non raggiungevano la media annuale di cottimo. Questi dovevano essere portati al livello degli altri. Dopo una non breve discussione gli industriali cedono in linea di principio e le trattative proseguono per definire le nuove tariffe 15.

Nel frattempo si moltiplicano i segni di insofferenza degli operai di vari settori per la lentezza e l’indecisione dei sindacati. Ad una assemblea di poligrafici, ad esempio, il Comitato sindacale ritiene addirittura di non doversi presentare << forse – scrive l'”Avanti!” – per la manifesta ostilità di gran parte degli organizzati al loro modo di dirigere le sezioni >>. Si discute sulla richiesta di aumenti per far fronte al caroviveri. Contro la mozione << molle >> di un sostenitore del Comitato, prevale la mozione D’arcais che dopo aver stigmatizzato l’atteggiamento dei dirigenti come <<acquiescente >> propone di chiedere aumenti di salario del 40% sulla paga base 16.

In questo stesso periodo, terminato lo sciopero degli impiegati che ha conosciuto momenti di particolare durezza per il modo con cui gli scioperatntii avevano trattato i << crumiri >> e per gli scontri con le guardie 17, la vertenza dei capitecnici, già iniziata da tempo, entra in aprile nella sua fase più acuta. Nel memoriale presentato nel marzo 1919 erano esposte le richieste del riassetto delle carriere e della definizione delle qualifiche 18. Gli industriali oppongono una decisa resistenza che ha delle ragioni dichiaratamente politiche. Nelle riunioni dell’AMMA, il Consorzio degli industriali dell’auto e della Confederazione Generale dell’Industria si dice esplicitamente che se i capitecnici e gli impiegati si fossero uniti agli operai, non si sarebbe più potuta garantire la disciplina in fabbrica 19. Occorreva pertanto non solo fiaccare la lotta dei tecnici, ma impedire che si formasse tale spirito di solidarietà e anzi sfruttare il risentimento degli operai nei confronti dei capireparto che giornalmente li angariavano. Dell’operazione si incarica Agnelli che in aprile annuncia le prime sospensioni degli operai giustificandole con l’assenza dei capireparto. Le sospensioni si susseguono poi a catena ed assumono l’aspetto di una vera e propria serrata. Per tutto il mese di aprile è un succedersi alla Camera del Lavoro di comizi di capitecnici e, separatamente, di comizi delle maestranze sospese. Non sempre l’atteggiamento reciproco è improntato a cordialità. Col passar del tempo gli operai risentono della situazione  e manifestano la loro ostilità nei confronti degli scioperanti. LA stampa del Partito Socialista nasconde accuratamente questi episodi ed anzi esalta con martellante monotonia l’unità dei lavoratori delle due categoria. Ma in molte riunioni i capitecnici accusano la FIOM di intralciare la trattativa. I dirigenti della Federazione replicano che sono disposti a sottomettere ad una commissione d’inchiesta il loro operato e che in ogni caso essi avevano i dovere di tutelare innanzitutto i loro 40.000 iscritti 20. Invero all’interno del Comitato Direttivo della FIOM, accanto a dirigenti che si pongono in maniera urgente il problema del rapporto tecnici-operai, la maggioranza era ostile all’inquadramento in un’unica organizzazione 21.

Si può affermare comunque che la manovra padronale nel complesso fallisse, perché alla fine vi furono segni non dubbi che gli operai avevano perfettamente inteso il valore della lotta dei tecnici. Gruppi sempre più numerosi dell’una categoria e dell’altra cominciavano a trarre da quell’esperienza la conclusione che bisognasse combattere un nemico comune ad entrambe. Ma non si trattò dell’unico insegnamento: era risultato chiaro che all’interno delle organizzazioni tradizionali vi erano più elementi che contrastavano quell’unità, di quelli che la favorivano. É sintomatico, ad esempio, che i tecnici non se la prendano mai con gli operai, ma sempre con i dirigenti della Federazione Metallurgica. E che nello stesso periodo nel quale rivolgono queste accuse, secondo fonti di parte padronale, vi sono nelle officine degli episodi di fraternizzazione tra capi ed operai 22. A questo punto gli industriali sentono che la situazione diventa estremamente pericolosa e colpiscono duro. Il giorno stesso in cui accettano le condizione poste nel memoriale dei tecnici rendono note le liste dei licenziati. Olivetti non ha alcun pudore di giustificare i licenziamenti come una misura necessaria per salvare la disciplina e l’ordine nelle officine 23.

Ma questa misura inasprisce gli animi e dà luogo ad uno strascico ulteriore della vertenza, mentre la questione dell’indennità ai sospesi determina un altro motivo di tensione. Per tutti questi fatti e per altri ancora che stavano per manifestarsi, era ormai chiaro alla fine di aprile che la tregua costituiva soltanto una pia illusione. Alle questioni più gravi si affiancano mille episodi minori che non sono meno importanti per farsi un’idea del clima di agitazione continua che si diffonde nelle officine. Ad esempio alla Fiat si riprende il lavoro il 3 maggio, ma subito alla Fiat Ferriere c’è uno sciopero per i cottimi. I forni non riscaldati a sufficienza e la qualità speciale dei trafilati non avevano permesso di raggiungere il tonnellato medio. Nel pomeriggio del 3 gli operai di loro iniziativa incrociano le braccia. Alla Gnome c’è fermento perché non si accetta che un caporeparto molto odiato ritorni al suo posto; la questione si risolve con l’allontanamento del caporeparto. Più grave la questione dell’indennità ai sospesi.

Le Direzioni della Fiat e dell’Ansaldo S. Giorgio affiggono in fabbrica un comunicato nel quale si dice che le somme di denaro che gli operai ritireranno sono date << a titolo d’imprestito >>. Risposta pronta delle maestranze. Il lavoro: il lavoro è bloccato in entrambe le fabbriche, La FIOM tramite la CI interviene invitando gli operai a riprendere il lavoro, considerando il danaro ricevuto << come acconto >> sull’indennità. Uberti e Colombino, della Federazione Metallurgica, si incontrano con i rappresentanti della Lega Industriale, poi si recano a riferire sul colloquio alla Camera del Lavoro.

<< Gli operai – secondo l'”Avanti!” – accettarono le ragioni esposte dai segretari, ma manifestarono tutto il loro malcontento per la situazione. E si sente che il malcontento è diffuso e profondo tra la massa. Le manifestazioni di questi giorni nelle officine ne sono un indice chiaro. Occorre che sollecitamente come era stato promesso siano sistemati gli orari, i salari e le indennità secondo le proposte della Federazione Metallurgica, se si vuole che la calma torni sul serio >> 24.

L’allusione alla sistemazione dei salari si riferisce al fatto che la FIOM aveva deciso sotto la pressione delle richieste operaie di impegnarsi effettivamente nella vertenza sui nuovi minimi che in precedenza era stata affidata ad una commissione paritetica. Per il momento comunque la Federazione è impegnata a risolvere la questione dei sospesi. Il 6 maggio c’è un nuovo incontro con la Lega. Colombino ottiene 30 lire per operaio come anticipo. Sul tappeto resta ancora, oltre alla revisione dei minimi di paga, anche il problema dei cottimi alla Fiat Brevetti e alla Fiat Lingotto; ma quanto alla questione delle indennità di sospensione, essa per la FIOM è chiusa 25.

A riaprirla ci pensano gli operai. Il 9 maggio una assemblea, che pure era composta soltanto di rappresentanti di CI, si fa portavoce del malumore della massa; si sostiene, da parte di molti, che << gli operai arriveranno a deliberazioni estreme >> se << alla soluzione non si giungesse entro breve tempo >>. I sindacalisti sono costretti a chiedere un nuovo incontro con la Lega Industriale nel quale ottengono che gli anticipi siano ritoccati. Si arriva allora a fissare 30 lire di anticipo per i ragazzi, 40 per i manovali, 50 per gli operai 26.

L’11 maggio Uberti riferisce ancora ad una assemblea di membri di CI sulla conclusione della vertenza e sullo stato delle trattative riguardanti il riassetto dei minimi 27. Nei giorni 16, 17 e 18 maggio 1919 si svolge a Torino un Convegno Nazionale della FIOM per prendere atto della situazione creata dalle recenti agitazioni. La discussione si sofferma in particolare sulla questione dei minimi: la sezione torinese viene autorizzata ad iniziare la lotta in anticipo, se lo ritenesse opportuno, anche se era previsto per il 19 un incontro con la CGL proprio per trattare di questo argomento. La FIOM cominciava a valutare adeguatamente il significato di ciò che stava avvenendo nella fabbriche di Torino 28.

Note

1 Cfr. M. Abrate, La lotta sindacale per l’industrializzazione in Italia, Torni, 1967, pp. 199-371.
Ibidem, p. 208.
Ibidem, pp. 208-209.
Le rivendicazioni proletarie, << Avanti! >>, 16 gennaio 1919.
Le agitazioni dei metallurgici, << Avanti! >>, 17 gennaio 1919.
Le agitazioni dei metallurgici continua malgrado la conquista delle otto ore. La riunione del comitato di agitazione, << Avanti! >>, 21 gennaio 1919.
Il contratto collettivo di lavoro nelle industrie metallurgiche, << Avanti! >>, 21 febbraio 1919.
8 Il nuovo concordato degli automobilisti, << Avanti! >>, 22 febbraio 1919.
FIOM: A tutte le sezioni della Federazione, ai lavoratori metallurgici italiani, << Avanti! >>, 23 febbraio 1919.
10 Il rinvio dell’assemblea dei metallurgici, << Avanti! >>, 23 febbraio 1919.
11 Osservazioni sul concordato per i metallurgici, << Avanti! >>, 15 marzo 1919.
12 La Federazione metallurgica risponde ai suoi critici, << Avanti! >>, 17 marzo 1919.
13 Scioperi ed agitazioni di metallurgici, << Avanti! >>, 15 marzo 1919; Industriali di altri tempi, << Avanti! >>, 15 marzo 1919. Il contegno dei siderurgici lombardi<< Avanti! >>, 18 marzo 1919. Sciopero dei fonditori risolto, << Avanti! >>, 19 marzo 1919.
14 Una grave agitazione alla Fiat<< Avanti! >>, 23 marzo 1919.
15 Le trattative per la vertenza Fiat<< Avanti! >>, 25 marzo 1919.
16 Le agitazioni dei poligrafici<< Avanti! >>, 29 marzo 1919.
17 Improvviso sciopero degli impiegati Fiat<< Avanti! >>, 1 marzo 1919. Lo sciopero degli impiegati della Biack, << Avanti! >>, 12 marzo 1919.
18 Il memoriale dei tecnici presentato agli industriali<< Avanti! >>, 11 marzo 1919. Risposta dei tecnici scioperanti agli industriali<< Avanti! >>, 11 marzo 1919. Risposta dei tecnici scioperanti agli industriali, << Avanti! >>, 13 aprile 1919.
19 Cfr. M. Abrate, La lotta sindacale per l’industrializzazione in Italia, cit., p. 217.
20 La Federazione Metallurgica e i capi tecnici<< Avanti! >>, 7 maggio 1919.
21 Cfr. G. Castagno, Bruno Buozzi, Milano-Roma, 1955, pp. 39-41.
22 Cfr. M. Abrate, La lotta sindacale per l’industrializzazione in Italia, cit., p. 217.
23 L’agitazione dei tecnici perdura<< Avanti! >>, 5 maggio 1919.
24 Stabilimenti metallurgici<< Avanti! >>, 4 maggio 1919.
25 Le vertenze dei metallurgici<< Avanti! >>, 7 maggio 1919.
26 L’indennità ai metallurgici<< Avanti! >>, 10 maggio 1919.
27 L’attività della sezione metallurgica<< Avanti! >>, 12 maggio 1919.
28 L’Ordine Nuovo<< Avanti! >>, 25 aprile 1919.

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